Mi sono interrogato a lungo sul titolo da dare a questo articolo. Volevo essere più buono, ma, alla mente, venivano soltanto aggettivi piuttosto negativi.
Pensare alla seconda stagione di American Gods, infatti, non mi trasmette sensazioni positive. Il mio punto di vista è abbastanza netto.
American Gods, con il suo attesissimo ritorno, a mio modo di vedere, non può che aver deluso gli spettatori, appassionatisi in una prima annata ricca di soprannaturale, ottima recitazione, colpi di scena e uno stile unico di montaggio e regia. Tutti pregi che non hanno avuto il medesimo impatto in questa nuova stagione.
Certo, ci sono delle motivazioni alla base. Innanzi tutto sono cambiati gli showrunner. Bryan Fuller e Michael Green hanno lasciato lo scettro a Jesse Alexander, che, però, sarà rimpiazzato, a sua volta, per la terza stagione (segno, magari, che anche l’emittente si sia accorta di alcuni problemini).
Ma quali sono i motivi che mi spingono a criticare questa seconda stagione? Eccoli presto riassunti.
- RITMO NARRATIVO
Avrete imparato a conoscermi. Non sono esattamente un estimatore della recente tendenza della televisione a produrre episodi lunghi e con un ritmo molto lento, per focalizzare quasi unicamente l’attenzione sui dettagli, sulla qualità registica/recitativa, anche a dispetto delle storyline.
In American Gods, almeno per quanto riguarda questa seconda stagione, la storia scompare del tutto. Il ritmo è inesistente. Quando si esagera con la lentezza, per me, si producono questo tipo di serie, che non riescono ad essere né opere di intrattenimento né narrazioni stimolanti.
- SCENEGGIATURA CERVELLOTICA
Il fatto che la storia finisca in secondo piano è accentuato da una sceneggiatura che aiuta MOLTO POCO lo spettatore. Spesso i dialoghi sono altamente metaforici e sono difficili da decifrare.
Sembra quasi che i personaggi siano totalmente disinteressati dagli eventi che li coinvolgono, e, anzi, che si occupino unicamente di lanciare messaggi sui tempi moderni e sulla realtà.
Lo fanno, oltretutto, con termini sofisticati e un linguaggio poco naturale, che, di fatto, fa allontanare uno spettatore, per altro avvilito dai ritmi lentissimi delle puntate.
Assolutamente d’accordo, e anzi, stavolta ho trovato davvero malfatto anche il montaggio e spesso perfino la regia, che ha avuto dei momenti brillanti ma in generale è stata piattissima. Su 8, mi sono piaciuto davvero forse 2-3 episodi (quello a New Orleans e quello dedicato a Mad Sweeney sicuramente). E’ vero che il ritmo anche nel libro è molto flemmatico (e se penso che la prossima stagione dovrebbe essere concentrata sulla parte a Lakeside, ancora più lenta, quasi mi viene male), ma qui davvero non è successo nulla: c’è stato moltissimo forshadowing, moltissimi dialoghi nebulosi e vaghi, pochi nuovi personaggi davvero importanti o memorabili (e questo è per me un difetto terribile). Nulla a che vedere con la brillante prima stagione, purtroppo. Speriamo nella terza, che il cambio di showrunner risollevi lo show, altrimenti sarà definitivamente un’occasione persa, purtroppo.
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Per me, comunque vada, faranno al massimo altre due stagioni. Quando si fa un prodotto del genere perdi pubblico. Devo guardare i dati di ascolto. Sarebbe interessante.
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