Recensione della seconda stagione di Mindhunter

Penso che, ormai, conosciate tutti “Mindhunter“, la serie Netflix ideata da Joe Penhall, che traspone il libro di Mark Olshaker e John E. Douglas dedicato alla creazione dell’unità di analisi comportamentale dell’FBI. 

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La serie, infatti, ruota attorno allo sviluppo delle tecniche di investigazione basate sul profilo psicologico dell’assassino. In questa seconda stagione, i nostri protagonisti, gli agenti Ford (Jonathan Croff), Tench (Holt McCallany) e la psicologa Wendy Carr (Anna Torv), però, vivono un’evoluzione anche al livello personale.

Se, nella prima stagione, ci si era concentrati nel riproporre serial killer realmente esistiti e sull’approfondimento della loro storia, per il tramite delle dichiarazioni rilasciate agli investigatori, in questa seconda stagione il focus si sposta sulla vita dei protagonisti. Tutti vivono degli sviluppi decisivi, specialmente Tench, il cui figlio assiste e, in qualche modo, partecipa all’assassinio di un bambino. I protagonisti diventano qualcosa di più di un mero espediente per raccontare una storia e questa è una scelta che ben si accompagna all’idea di una lunga durata della serie (anche se, al momento attuale, non ci sono conferme nemmeno sul rinnovo).

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Il secondo filo narrativo principale, invece, è relativo agli omicidi di Atlanta. Un serial killer di bambini afroamericani, infatti, miete numerosissime vittime, nell’arco di tre anni. Ed è questo il caso a cui Holden sembra tenere maggiormente, durante la serie.

In qualche modo, sembra cambiare l’impianto narrativo. Si spazia di meno e si rende lo show un programma più tradizionale, con meno spunti – anche se gli showrunner proveranno comunque ad arricchire i fili narrativi, ad esempio, inserendo la figura di Charles Manson – e maggiore linearità di narrazione.

Nonostante la serie non sia deludente, però, ho considerato questa stagione come un mero trait d’union fra la prima stagione e quello che vedremo, in seguito. La sensazione è, infatti, che la serie sia finita proprio nel momento in cui stavamo iniziando a goderci davvero lo show e ci ha lasciato con un desiderio inappagato di avere più indagini, più svolte e più curiosità sull’evoluzione dello studio delle scienze comportamentali.

Quindi, che dire? Personalmente attenderò in maniera spasmodica il rilascio della terza stagione!

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