Recensione di “Tutto il mio folle amore” di Gabriele Salvadores

Settimana scorsa sono andato al cinema senza grandi aspettative e mi sono ritrovato a vedere uno dei film italiani più pregni di significato che io abbia mai visto negli ultimi anni. Sto parlando di “Tutto il mio folle amore” di Gabriele Salvadores.

Il film, tratto dalla storia vera di Andrea e Franco Antonello, padre e figlio autistico, che hanno davvero compiuto un lungo viaggio nei Balcani, ci porta a contatto con realtà e atmosfere diverse. Da una parte abbiamo modo di vedere il mondo tramite gli occhi di Vincent (Giulio Pranno), un ragazzo gravemente autistico, dall’altra abbiamo un assaggio della realtà delle persone che lo circondano.

Un cast di tutto rispetto (con Valeria Golino, Claudio Santamaria e Diego Abatantuono) – in cui spicca il giovanissimo Pranno – permettono al film di acquisire quel qualcosa in più e di conquistare l’occhio dello spettatore. Si tratta, infatti, di un film che ingrana dopo un po’ e che rischia di confrontarsi con tante altre opere che hanno cercato di porre attenzione sul disturbo autistico. Tuttavia, “Tutto il mio folle amore” non demerita mai, e anzi emerge come film originale e meritevole di essere visto.

E’ uno di quei film che non può non farti riflettere e ti sottopone una serie di quesiti filosofici fondamentali, nel bel mezzo di una narrazione che, a tratti, vive anche di momenti surreali (ma che non stonano mai).

Vedendo “Tutto il mio folle amore”, viene da chiedersi se, a volte, la vita non sia ingiusta e se, più volte di quante dovremmo, stentiamo ad accontentarci di quelle situazioni che potrebbero bastare se non addirittura fare felici persone meno fortunate di noi.

Del film mi ricorderò la frase “la felicità non è un diritto: è una botta di culo“, pronunciata da un Abatantuono perfetto nel suo ruolo di equilibratore, tra il dramma e gli aspetti più scanzonati della storia.

Se volete guardare un film che vi faccia riflettere, “Tutto il mio folle amore” è il film che fa per voi!

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