Recensione di La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano

Giocattoli rotti…

Credo che non ci sia espressione più congeniale di questa per parlare della Solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano.

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Ho iniziato questa lettura perché era stata citata più e più volte in un saggio di storytelling che avevo letto qualche settimana fa. Si tratta di un libro molto conosciuto e da cui è stato anche tratto un film. Per questo le mie aspettative erano alte. E, in effetti, i capitoli con cui vengono introdotti i personaggi sono una vera bomba.

È uno di quei libri con un inizio a effetto che ti costringe a rimanere attaccato alle pagine. Le storie drammatiche che segnano i due protagonisti sin da bambini sono il prologo di una vicenda che non riuscirà mai a essere felice.

A dispetto dell’incipit straordinario, però, La solitudine dei numeri primi non è riuscita a conquistarmi fino in fondo.

Ho trovato lo stile di Giordano troppo distante, rarefatto. Sentivo una distanza infinita tra me e i personaggi. Mi percepivo distante, a guardare in lontananza i pezzi delle vite dei protagonisti che si disgregavano e si disperdevano in una spirale di confusione e tristezza in cui non mi sono mai davvero orientato.

È un libro intriso di emozioni, ma che non mi è entrato sotto la pelle. Se mi passate l’espressione, questo romanzo riesce a creare uno stato d’animo. Ti senti angosciato, grigio. Osservi dei personaggi che sono, in definitiva, null’altro che giocattoli rotti, incapaci di salvarsi. Sicuramente non in grado di salvarsi l’un l’altro.

Il finale, poi, è stata davvero la sorpresa più grande. Mi aspettavo una sorta di chiusura, invece ho avuto un finale assolutamente imperfetto che, in qualche modo, rappresenta tutto quello che La solitudine dei numeri primi è stata sin dall’inizio.

Piccola nota: il libro mi ha ricordato tremendamente Persone normali di Sally Rooney. Quindi, lo consiglio a chi ha amato quel libro e viceversa.

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