La casa sul mare celeste di T. J. Klune: una fiabesca metafora queer sull’uguaglianza

“Ormai da tempo aveva accettato che certe persone, a prescindere da quanto fosse buono il loro cuore o di quanto amore avessero da offrire, erano destinate a rimanere sole. La vita aveva quello in serbo per loro.”

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La casa sul mare celeste è un romanzo fantasy-romantico dell’autore ormai apprezzatissimo in Italia, T. J. Klune.

In questo libro, il nostro goffo assistente sociale, Linus Baker, è chiamato a effettuare una valutazione sull’orfanotrofio sperduto nell’esotica isola di Marsyas, nel quale il direttore Arthur Parnassus dà asilo a una serie di “bambini” molto speciali. I residenti dell’orfanotrofio spaziano dai mutaforma agli spiriti delle foreste, passando per il figlio dell’Anticristo.

Questo romanzo, dietro una storia coerente e ben sviluppata, è una grande, infinita metafora. Tutto gioca sul parallelismo fra le persone queer e le creature magiche. Klune crea un mondo in cui c’è una minoranza di creature speciali e che, proprio a causa dei loro poteri e della loro natura insolita, vengono discriminate e osservate con scetticismo.

Con La casa sul mare celeste Klune insegna i suoi lettori a non avere pregiudizi, ad andare oltre le apparenze. È un romanzo didattico per il pubblico più giovane e che dà respiro a concetti di grande valore come l’uguaglianza e la tolleranza.

Questa metafora è tanto più efficace perché viene evocata in un romanzo che riesce anche a essere sfaccettato. Accanto a questo tema principale, infatti, ne scorgiamo chiaramente un altro: la possibilità di cambiare. Non dobbiamo arrenderci a ciò che accade o a una routine che ci sta stretta. Possiamo sempre cambiare e aprirci verso nuovi orizzonti.

Condisce il tutto la relazione romantica fra Linus, che viene presentato come un omosessuale non più giovanissimo e con parecchi difetti estetici, e Arthur, il direttore dell’orfanotrofio. Una fiaba romantica e queer, originale a suo modo, e capace di lasciare un sorriso nel lettore. Unico guaio per me rimane sempre che i romanzi di Klune sono troppo lunghi e a volte diano troppo spazio a scene di cui si potrebbe fare a meno.

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