“Perché qualcuno dovrebbe amare un mostro?”
“Chi sei tu per decidere chi è degno di amore?”
Su suggerimento di una mia amica, ho deciso di leggere “Lo sguardo di medusa” di Natalie Haynes, un retelling del mito di Perseo e Medusa.
In passato, ho molto apprezzato i retelling, specialmente quelli che hanno attinto dal materiale della mitologia omerica, dunque avevo alte aspettative per questo romanzo. Peraltro, Medusa è uno dei personaggi che più mi colpiscono ed era dunque un personaggio che non vedevo l’ora di conoscere meglio.
Il romanzo ha sicuramente molti pregi. Innanzitutto, riesce a ripercorrere svariati passaggi della mitologia e a renderli facilmente fruibili da un pubblico vasto. In esso, abbiamo modo di conoscere numerose leggende e personaggi mitologici.
Lo stile è sempre scorrevole. L’esperienza di lettura si rivela piacevole e leggera al tempo stesso.
Ho, infine, molto apprezzato il punto di vista di Medusa che, insieme ad Atena, risulta il personaggio più tridimensionale e convincente dell’opera.
A fronte di queste indubbie qualità, però, c’è stato qualcosa che mi ha convinto di meno.
Nello specifico, non ho apprezzato il voler rendere il romanzo (così tanto) corale, con numerosi personaggi diversi a “raccontare” la vicenda. Ritengo che il desiderio di inserire troppo, sia in termini di personaggi che di accadimenti, renda più difficile sviluppare una connessione empatica ed emotiva tra lettore e protagonisti.

