Recensione di “Il mestiere di scrivere” di Raymond Carver: tra autobiografia e scrittura creativa

“Ma uno scrittore che ha una maniera particolare di guardare le cose e riesce a dare espressione artistica alla sua maniera di guardare le cose, è uno scrittore che durerà per un pezzo.”

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Non avevo mai letto nulla di Raymond Carver prima di approcciarmi a “Il mestiere di scrivere” – la sua autobiografia/guida alla scrittura creativa – e devo dire che, se dovessi basarmi su questo testo, non riuscirei a spiegarmi la fama dell’autore.

“In definitiva, le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire quello che devono dire nel modo migliore.”

Per il genere di lettura, è facile paragonare “Il mestiere di scrivere” a “On writing” di Stephen King. Tuttavia, l’autobiografia di King mi aveva colpito molto di più. C’è una identità più spiccata in King che parla di sé e di scrittura di quanta non ce ne sia in questo libro che, in definitiva, è poco più di un insieme di cose messe insieme.

Si tratta, infatti, di uno scritto autobiografico, condito da qualche frase sulla scrittura, una serie di prefazioni ai libri scritte dallo stesso Carver e le sbobinature (sì, davvero) di alcune lezioni dello scrittore statunitense, da cui si evince la serietà con cui si avvicinava ai lavori dei suoi studenti.

“Vorremmo avanzare l’ipotesi che il talento, il genio, addirittura, sia anche il dono di vedere quello che tutti hanno visto, ma vederlo in modo più chiaro, da ogni lato.”

In merito alla scrittura cosa se ne può trarre? Che è importantissimo essere chiari, diretti, limpidi e chirurgici. Che non ha senso aggiungere quello che non serve e dare poco valore a ciò che è il fulcro della storia e, di conseguenza, interessa al lettore. Questo e un ribadire continuo dell’importanza della revisione e della rielaborazione dei testi.

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