“How come no one found me? Where are my friends? My brother and sister. Where are my mum and dad?”
Arrivo tardi a parlarne, ma sentivo il bisogno di farlo.
Ho recuperato Estranei (“All of us strangers”) su DisneyPlus e sono stato travolto dalla potenza emotiva di questa pellicola che avrei fatto bene a vedere già ai tempi dell’uscita nelle sale.
Per chi non lo sapesse, Estranei è l’adattamento cinematografico del libro omonimo di Taichi Yamada, rivisitato in chiave queer dal regista Andrew Haigh.
Il film mi ha colpito perché è un’analisi drammatica della vita degli omosessuali e di tutta la solitudine che un differente orientamento sessuale comporta. Secondo alcuni interpreti, la storia si adatterebbe alla perfezione alla generazione X, ma io credo che la portata di significato del film possa essere estesa anche alle generazioni che sono venute dopo.
È vero, i tabù sono meno tabù adesso, ma ancora un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità crea comunque una rottura, un allontanamento (se non nei fatti, nella comprensione) fra genitori e figli. I genitori non rivivono il loro percorso attraverso i figli e i figli non possono seguire i consigli e la direzione dei genitori. Ancora oggi, tra differenze e ostacoli oggettivi, aggravati da legislazioni che spesso tendono a conservare e anzi ad amplificare quanto più possibile la differenza di diritti fra etero e non etero, sussiste uno scollamento fra le persone queer e gli altri (in particolar modo con i genitori).
Essere queer in passato era un percorso solitario. Sociologicamente e antropologicamente, ritengo che ancora una vita queer tenda a essere più solitaria (meno opportunità di incontro, meno possibilità di genitorialità, meno chance di costruire una rete di supporto). Ed è qui che si dipinge la tragedia di Estranei che racconta tutto il dolore della solitudine delle persone queer. Non sempre, è facile cavarsela da soli (anzi, proprio mai), non sempre è facile trovare comprensione e accettazione negli altri e in chi, come i genitori, sarebbe tenuto a supportare i figli.
Il tempo, l’evoluzione, non ha cambiato drasticamente le cose. E ancora oggi in tanti vivono esperienze dolorose come quelle di Adam e Harry.
Il film, peraltro, racconta una solitudine particolarmente insidiosa perché in grado di estremizzare le barriere. Adam non si sente compreso e alza un muro verso Harry la cui solitudine, invece, si è trasformata in una vera e propria disperazione. Due solitudini che potrebbero incrociarsi e annullarsi si scontrano con un muro di timore che distrugge le loro vite.
Una storia tragica, magistralmente diretta e interpretata, che mi resterà nel cuore.
