SINOSSI
Una leggenda: una vampira che si nasconde in mare, nelle vicinanze dei faraglioni, battuti dal vento. Un viaggio per incontrarla, un’ultima speranza. Sofia e Caliban sono alla ricerca di soluzioni. Soltanto la vampira della leggenda è a conoscenza di un rimedio: la misteriosa cura al vampirismo.
Sofia è stata trasformata e desidera tornare indietro, annullare la transizione. Troppo forte è il terrore di fare del male al prossimo.
In questo omaggio alla figura di Mina Murray, personaggio di “Dracula” di Bram Stoker, esploriamo le acque britanniche e sperimentiamo una tensione elettrica fra due vampire, chiamate a scegliere la propria strada.
Il vampirismo è una condanna o è una via d’uscita dalla miseria umana?
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RACCONTO
Cammina avanti e indietro, i capelli scuri come tende gonfiate dal vento. Gli occhi chiusi, sempre chiusi; si muove posseduta dall’istinto, calpestando a più riprese le assi cigolanti del ponte. La caracca traballa, sospinta dalla brezza e dalle onde di un tramonto che preannuncia una sera di maltempo. L’aria umida, il vento che sibila tra le corde e le vele, e le nuvole fitte, screziate dagli ultimi raggi scarlatti del sole che si congeda.
«Fermati» le dice Caliban. Lui è immobile, appoggiato alla balaustra della banda sinistra. I capelli radi, neri e lunghi, svolazzano sopra il viso di un bianco innaturale.
Lei alza gli occhi e porta le mani sul grembo. La gonna a campana ondeggia, lasciando intravedere strati su strati di pizzi e merletti sotto l’abito grigio di ottima foggia. «Perché dovrei fermarmi, Caliban? Questo viaggio non è servito a nulla».
Lui sospira e alza lo sguardo. Oltre il corpo di lei, oltre i suoi ricci seducenti e le guance piene. Osserva il cielo denso di nuvole e si gratta il mento. «Il capitano proverà a riportarci a terra prima che sia troppo tardi. Dovresti preoccuparti della tempesta, non di quello che è stato».
«Che non è stato» lo corregge lei e si avvicina di qualche passo. I tacchi ticchettano sul legno, un rimbombare profondo che sovrasta il melodioso scontrarsi delle onde sui bordi dell’imbarcazione.
«Era una leggenda, forse. Fattene una ragione, Sofia».
Solo un passo ormai li separa, lui è ancora appoggiato, il gomito sul corrimano e la mano destra che penzola verso il basso, priva di forza. «Non esistono le leggende. Tu lo sai».
«Forse questa lo è, dopotutto. Forse non avrebbe potuto aiutarti, anche fosse esistita». In fondo, Caliban è felice di non averla trovata.
Una nota di fastidio impregna la voce di Sofia: «Forse, invece, abbiamo solo sbagliato rotta».
Caliban sbuffa e si scolla dalla balaustra, con ampi gesti delle mani scuote della polvere immaginaria dal completo e torna a guardare Sofia. «Non ci sono poi molti faraglioni, in questa zona. Se fosse esistita davvero, se si nascondesse davvero nei fondali nei dintorni di quell’enorme masso, l’avremmo trovata».
Sofia stringe le braccia al petto. «Sai che significa questo?»
«Cosa, Sofia?»
«Che morirò. No, anzi…», un’esitazione nella voce, gli occhi sgranati all’improvviso, «significa che mi dovrai uccidere e risolvere la faccenda in questo modo».
«Perché dovresti morire?». I suoi occhi si spalancano, il labbro inferiore tremola.
La mano sinistra di Sofia scatta, si serra attorno al collo bianco di Caliban. Lo solleva a mezzo metro da terra, senza alcuno sforzo. Le iridi di lei cambiano colore; si tingono di un rosso profondo, i canini si allungano di mezzo dito. Una furia rabbiosa trasforma i suoi lineamenti.
«Perché se non muoio, farò del male a qualcuno. Lo sai. Quello che sono, non sarò mai in grado di controllarlo».
Un tuono, la fioca luce del tramonto svanisce dall’orizzonte.
Sofia lo lascia andare e lui si affloscia sul ponte della nave come una matassa di corde, informe e priva di vitalità.
«Perché devi morire?» Una voce acuta, melodiosa sorprende entrambi alle spalle.
Sofia si volta, Caliban alza lo sguardo: la donna che cercavano è sulla nave. Seduta a gambe incrociate, sulla prora, i lunghissimi capelli biondi e crespi sospinti dal vento, le labbra sottili e secche. Gli occhi di un rosso accesso, i lineamenti spigolosi. Indossa una tunica bianca che la copre a malapena, i capezzoli puntuti spingono il sottile strato di tessuto candido che copre la pelle chiara. È bella come il proibito, sensuale come il peccato.
«Devi aiutarmi…» La voce di Sofia è un soffio che vince a fatica le folate di vento che si abbattono su di loro e sulle vele.
«Non ti libererò, Sofia» risponde la nuova venuta.
«Devi farlo. Solo tu puoi. Me lo hanno detto… solo tu hai questo potere».
«Io?», gli occhi rosso ardente brillano nitidi nella giovane sera, «Forse non ti hanno mentito, ma questo non significa che ti accontenterò».
Con un movimento fulmineo, sfuggito agli occhi di Caliban, la bionda li raggiunge.
Sofia fa un passo indietro, le mani tremano. Il cuore batte così forte che persino Caliban riesce a sentirne il vigore spingere contro la cassa toracica. Vorrebbe solo fuggire il più lontano possibile da quel posto, anche a costo di inabissarsi nell’oceano. Non la voleva trovare. Sarebbe stato meglio se non l’avessero trovata! Contempla persino l’idea di gettarsi in acqua: tutto pur di stare lontano dalla donna dagli occhi vermigli. L’atmosfera sulla caracca è mutata, dopo il suo arrivo. La sua figura occupa lo spazio in modo differente, contamina l’aria. Possiede un’aura che trascende l’umano, un’aura che non può essere ignorata. Il cuore di Caliban batte al ritmo dello sconcerto, il sangue gela nelle vene. Il pericolo è chiaro, lei è pericolo.
«Hai… hai paura?» Sorpresa nella voce della donna della leggenda.
«I-io?» Sofia abbassa lo sguardo, gli occhi indugiano su Caliban che ancora non si è ancora rialzato.
«Ti farò scoprire chi sei davvero, ti farò vedere che non sei uno scherzo della natura…» La mano della bionda si posa sotto il mento di Sofia, con una leggera pressione la costringe a guardarla negli occhi. «Sei bella, Sofia. Tu sei un sogno che si è fatto carne. Sei l’estasi dell’irreale in un mondo che puzza di pesce avariato».
Un timido sorriso increspa le labbra di Sofia. «Non voglio fare del male a nessuno».
«Guardi tutto dalla prospettiva sbagliata». Con un altro movimento, troppo rapido per appartenere a un essere umano, la bionda afferra per la camicia Caliban e lo tira su. I canini di lei affondano sulla pelle del suo collo, ma solo per un attimo. Due fori cremisi, una inebriante zaffata incendia le narici di Sofia.
Caliban non si oppone, le membra bloccate da una sensazione che non riesce a spiegare, ma che lo costringe all’immobilità. Sa di non potersi muovere. Sarebbe impensabile ribellarsi, il corpo non risponderebbe all’impulso. Un’immobilità di testa e di fisico, impulsi neutralizzati dal morso. Quale terrificante potere lo ha soggiogato?
«Sei sopra le miserie umane, Sofia» dice la bionda, una mano serrata sulla spalla di Caliban. Lui ha gli occhi lucidi, spalancati e iniettati di terrore. «Puoi nutrirti di lui, puoi nutrirti di chiunque. Puoi avere la vita che desideri, per quanto a lungo tu la desideri. Puoi essere la dea di questo regno di squallore o scegliere di vivere in mezzo ai vagabondi che crepano in mezzo ai loro stessi escrementi, sotto un lampione di Blackpool».
Sofia si avvicina, spinta da un istinto naturale forte come un uragano. Un passo, un altro passo, il suo naso sottile è a un centimetro dal rivolo di sangue che ha macchiato il collo di Caliban.
«Io… non vorrei» dice Sofia.
La risposta è quasi un grido: «Non vorresti cosa?»
«Fare del male agli altri…» Sofia intreccia le dita delle mani sopra la gonna, sospinta dal vento. «Accettare la mia nuova natura è un rischio per tutti… Io non posso proprio accettarla…»
Una risata piena, squillante fuoriesce dalle labbra dell’altra. «E per quale motivo? Per una stupida imposizione della tua legge morale? Oh, sul serio, non puoi davvero essere così banale e noiosa».
Sofia, posseduta da un’attrazione a cui non riesce a sottrarsi, tira fuori la lingua e pulisce la pelle di Caliban dalla macchia di sangue. Non si sarebbe mai sognata di farlo, nella sua vita precedente. Non aveva mai baciato nessuno e ora si ritrova a leccare sangue colato sul collo di un uomo.
Un rapido passo indietro, Sofia urta contro la balaustra. Si è allontanata dal penetrante odore di sangue con così tanta foga da farsi male alla schiena. Voleva prendere le distanze dal gesto, da ciò che il desiderio l’ha portata a fare. Non ha più dominio su sé stessa. Una vertigine, le mani si appoggiano entrambe al legno della balaustra. Un attimo, un lungo respiro, e poi un nuovo passo in avanti.
Un sorriso compiaciuto si scolpisce sul volto della bionda, che tiene ancora fermo Caliban.
«Non credi…», Sofia trova le forze, la voce si fa più forte rispetto a un attimo prima, «che esista qualcosa di giusto e qualcosa di sbagliato? Non è un’imposizione fantasiosa la legge morale. Dovremmo crescere tutti con una direzione, con un’indicazione di quello che una persona civile dovrebbe fare. Abbiamo tutti bisogno di una stella polare, altrimenti rischiamo di ricadere nella mostruosità».
«Sofia, piccola cara», l’altra lascia andare Caliban, che crolla in ginocchio e rimane bloccato tra lei e Sofia, «credo che sia presuntuoso cercare un assoluto nella vita. L’assoluto è roba da filosofi. Io ho smesso di cercare il bene e di ripudiare il male quando tutto nella mia vita è crollato. Ho perso il mio promesso sposo, ho perso la mia famiglia, ho perso i miei averi, sono stata schifata e abbandonata. Sono stata cambiata, sono diventata un incubo per chi mi incontrava. Se avessi ancora pensato al bene o al male, questa vita mi sarebbe stata insopportabile. Però, ho capito… che non scegliamo il destino. Non hai scelto tu di essere quello che sei adesso. Però, siamo arrivati a questo punto e a questo punto non puoi fare altro che essere tu stessa la vera stella polare della tua vita».
Gli occhi di Sofia si accendono di un fervore inedito. Apre la bocca e respira a pieni polmoni: salsedine e quell’intenso, infinitamente seducente, odore di sangue ancora nell’aria.
«È ora, Sofia».
Le parole della misteriosa donna riverberano nella mente di Sofia che, infine, si inchina sul corpo di Caliban. “Mi dispiace” sussurra, o almeno così crede l’uomo un attimo prima che i denti di lei affondino dentro la carne. Sofia succhia e succhia ancora, la mano delicata sulla guancia di quello che era stato un buon amico per lei. Lui non si oppone, ancora avvinto da una forza inesplicabile che gli impedisce di muoversi. Solo un sussulto, poi cade riverso sul ponte della nave. Se fosse possibile è più bianco di quanto non lo sia mai stato, le vene in superficie, sporgono dalla pelle che è diventata carta delicata.
«È stato così difficile!» Una smorfia contrae la mandibola, ma è solo un attimo. Si rimette in piedi, con studiata lentezza e si pulisce la faccia dalle gocce di sangue. «Ma ti ringrazio. Ti ringrazio davvero, Mina».
Mina annuisce, sorride e si china, a sua volta. Uno sguardo complice fra le due, pregno di elettricità. Con due movimenti rapidi delle mani, Mina stacca la testa e un braccio dal corpo di Caliban. Poi offre la mano a Sofia ed entrambe si tirano su. Il vento sferza sulle loro facce compiaciute. Non esiste una stella che le guidi, al di fuori di loro. Non hanno bisogno di una legge morale, ora che ne sono al di sopra.
Dita intrecciate, Mina e Sofia percorrono il ponte fino alla prora. Alle loro spalle un sibilo appena percepibile. Tre pezzi, tre pezzi in movimento. La testa di Caliban soffia, sbava e prova, invano, a parlare. Le corde vocali sono ormai troppo lontane per dar voce alle proteste. Il braccio, poco più in là, vaga verso le scale che conducono sottocoperta. Il busto e le gambe tremano, in preda a ripetuti scossoni.
Mina osserva l’orizzonte, i suoi occhi superano i limiti del buio. Sorride e si schiarisce la voce.
«Come poteva credere che fossi soltanto una leggenda».
Sofia si avvicina a Mina e le due si scambiano un lunghissimo bacio. Mina sente il sangue di Caliban sulla lingua di Sofia. È tutto incendio fra loro.
La vita di Sofia è iniziata.
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