Ma Murakami voleva davvero scrivere un libro sulla scrittura e sulla professione dello scrittore?
Andiamo per gradi, Il mestiere dello scrittore è un saggio in cui il celebre autore giapponese esplora la sua carriera, ma prova anche a parlare di scrittura e a dare qualche (ben pochi) consiglio agli aspiranti scrittori.
Nel libro ci sono alcuni spunti interessanti, ma nel complesso all’opera manca la giusta forza espositiva. Manca per una ragione semplicissima? Murakami è uno di quegli scrittori che non si è mai sentito “maestro” e che ha ripetuto, in ogni capitolo di questo saggio, una formuletta chiara “Questo ha funzionato per me, ma potrebbe funzionare diversamente per altri”.
L’autore, nel libro, ci parla della sua storia, di come un giorno si sia deciso a scrivere e abbia subito ottenuto un premio per esordienti. Tutto è andato al posto giusto, quasi senza fatica. Murakami ha faticato per molte cose nella sua vita, ma non per avere successo editoriale.
Le parti più interessanti di questo saggio, a mio avviso, sono state le riflessioni sulla mente dello scrittore (che non deve dare decisi netti e arrivare a tentoni alla realtà), la passione per i dettagli (una storia funziona, se è ricca di dettagli, anche poco logici) e la rivendicazione per uno scrittore di utilizzare personaggi anche molto diversi da sé stesso.
Non manca, inoltre, una certa insistenza di Murakami nel parlare (negativamente) dei critici. La critica (soprattutto quella giapponese) non ha mai esaltato le sue opere e, sebbene ribadisca, più e più volte, che non gli interessa dell’opinione dei critici e della stampa, nel saggio ritorna un po’ troppo spesso questa riflessione sui giornalisti e i critici letterari.
Nel complesso, mi è sembrata una forzatura questo saggio della scrittura. Ho proprio la sensazione che l’editore glielo abbia più imposto che proposto e lui si sia cimentato, pur vivendo la scrittura un po’ come un’operazione solitaria, che a lui è filata dritta, senza doversi impelagare in corsi e decine di tentativi fallimentari.

