Almeno tu di Carlo Lucarelli è stato il mio primo approccio al Lucarelli romanziere.
È la storia di un padre che ha perso la figlia, dopo un incidente. Elisa finisce uccisa da un’auto, dopo una serata con degli amici, che i genitori conoscevano a malapena. La morte non sembra essere così misteriosa o controversa, ma i genitori si chiedono se sia il caso di scavare ancora. La morte della figlia è la spinta per la madre, Paola, di chiudere definitivamente con Vittorio, il marito, un professore, innocuo all’apparenza, che non ha mai amato. Quello che viene dopo è, appunto, la storia di un padre disperato, lasciato dalla moglie, lasciato alla sua solitudine, ossessionata dall’assenza e dalle recriminazioni. Tormentato dall’incapacità di ricominciare, di vivere senza, cerca nella vendetta una pace impossibile.
È un romanzo che, come definisce lo stesso autore, si rivela cattivo. C’è tanta violenza, una violenza che, a tratti, ho percepito gratuita. Ci sono delle estremizzazioni, degli angoli bui dell’umanità amplificati da una storia di assenze, incomprensioni, lontananza e perdita.
Ho amato molto lo stile di Lucarelli, che cambia il POV con naturalezza, che costruisce periodi che scolpiscono la realtà narrata con dovizia di particolari e ricchezza di sfumature, senza risultare mai lezioso. Eppure, è un romanzo a cui manca una solida impalcatura. Troppo breve il romanzo per permettere agli eccessi di violenza di essere giustificati, di essere davvero digeriti dal lettore o vissuti con intensità.
L’aspetto che ho apprezzato di più è la storia di Matteo. La bassezza del genitore, la difficoltà di esprimersi, l’esigenza del giovane di trovare qualcuno che lo comprenda e la resa alla vita, una volta di fronte all’impossibilità di nascondersi ancora di fronte al genitore, sono stati gli elementi che più mi hanno conquistato.

