“La prima volta che lasciai l’Iran per andare a studiare in Inghilterra avevo tredici anni, e da allora libri e storie sono sempre stati i miei talismani, la mia «casa portatile», l’unica su cui fare affidamento, che non mi avrebbe tradita, l’unica da cui nessuno mi avrebbe mai sloggiata.”
Leggere pericolosamente di Azar Nafisi è il secondo libro che ho scelto per il gruppo di lettura della mia città. Si tratta di un saggio in parti, composto da cinque lettere dell’autrice al padre, in cui Nafisi analizza la società e il nostro tempo per il tramite di grandi storie, che l’hanno segnata come lettrice e persona.
Devo dirlo, mi aspettavo molto di più da questa lettura che, a mio avviso, è un po’ smagliata. Mi spiego: queste cinque lettere potevano benissimo avere la dimensione – per l’appunto – di una lettera, o, in generale, la lunghezza di un pezzo giornalistico. Invece, il libro ha una dimensione più corposa e a me è rimasta la sensazione di un “dover allungare il brodo” per trasformare il materiale in qualcosa di vendibile come oggetto-libro.
“Dopo l’oscurità dell’ignoranza, il chiarore dell’illuminazione improvvisa è doloroso.”
Ho apprezzato molto la lucida critica di Nafisi alla nostra società, all’Iran e all’America di Trump. Rimane un problema. Il libro nasce vecchio. È frutto del primo governo Trump e Nafisi sembra, in qualche modo, ragionare sul punto più basso raggiunto dagli Usa, con un presidente che rievoca metodi di governo tipici dei sistemi totalitari. Solo che Trump al potere c’è tornato e ora la situazione in occidente è assai peggiorata. Pertanto, sì, belle le riflessioni, interessanti i paragoni con le storie scelte da Nafisi, però… vista la situazione trasformata, da lettore avrei avuto bisogno di qualcosa di più bruciante, di più drastico. Un urlo politico, anche a costo di rinunciare a un pelo della classe letteraria innegabile del testo.


Grazie per questa recensione, esprime perfettamente i dubbi che ho avuto anche io leggendolo. La sensazione del “brodo allungato” è la stessa che mi ha accompagnato per tutto il libro: un’idea di partenza potentissima, ma che sembra diluita, quasi per forza, per raggiungere la lunghezza di un saggio.
E il punto che fai sulla sua “vecchiaia” è dolorosamente vero. Letto oggi, con tutto quello che è successo nel frattempo, manca di quell’urgenza, di quel “pugno nello stomaco” che ci si aspetterebbe da un’analisi così lucida. Resta una lettura di classe, ma che purtroppo sembra superata dai tempi che corrono ancora più veloci. Peccato.
Elena
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Penso che fosse inevitabile avere questa sensazione. Un piacere, in ogni caso.
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