“Del mio amore perduto non è rimasto più nulla. Soltanto quei resti abbandonati sotto strati di terra, sassi e insetti, soltanto la disperazione più nera all’interno del mio petto.”
In un battito di ciglia di Amelia Zalfino è un romanzo di difficile definizione. Tra l’horror, l’introspettivo e il weird, è là che si può trovare questo romanzo che ci parla di Ivar, un uomo in piena crisi, tormentato dai rimorsi, a caccia di ricordi sfumati e di amori passati.
Ivar è in uno stato di trance dolorosa da cui fatica a uscire. Vivere è per lui la malattia più dolorosa. Qualcosa s’è rotto, da tempo, ma il lettore non lo riesce a capire fino in fondo. Gli mancano dei pezzi ed è là che subentra la penna di Amelia Zalfino con una costruzione che non segue l’ordine cronologico, ma che offre tutte le spiegazioni del caso al lettore.
Ci sono elementi forti, in questo romanzo. Dolore, depressione, sofferenza psichica, morte e sangue.
Il romanzo è convincente, fresco e con degli spunti originali. La combinazione fra un amore travolgente e immagini crude e spaventose è un ossimoro che conquista sempre il me lettore.
Forse, se posso permettermi, suggerirei a Zalfino di spingere ancora di più. Di regalarci qualcosa di più crudo, di più devastante, perché con le sue idee e il suo stile scorrevole, chiaro e incisivo, nei momenti giusti, potrebbe davvero stravolgerci.
È un romanzo d’esordio che promuovo pienamente, che offre al pubblico qualcosa di non inflazionato e che, forse, sulle prime, non è nemmeno di facilissima comprensione, ma che merita attenzione.

