Recensione di “Norwegian Wood” di Murakami: un romanzo sentimentale sui vent’anni e sulla solitudine

Buon pomeriggio a tutti, cari lettori.

Oggi vorrei parlare di un libro celeberrimo, tra i più conosciuti di sempre. Sto parlando di “Norwegian Wood” di Haruki Murakami, che ho finito di leggere soltanto pochi minuti fa.

Non riesco a trattenermi, quindi fiondiamoci in questa recensione…

Trama:

Watanabe è un ragazzo di diciannove anni che si trasferisce a Tokyo per studiare all’università. Ha alle spalle un dramma, in quanto ha perso suicida quello che era stato il suo unico amico durante l’adolescenza.

Nei primi due anni a Tokyo, quelli in cui Watanabe diventerà adulto, vive una serie di esperienze non sempre positive e conosce vari aspetti del mondo. I suoi primi tempi da adulto sono difficili e inframmezzati da costanti riflessioni sul senso della vita e sull’amore. 

I vent’anni…

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La prima cosa che mi viene da dire, parlando di Norwegian Wood è che un libro sui vent’anni.

Tanti passaggi del libro mi hanno fatto sentire un vecchio. Cioè, davvero, ci sono alcune sensazioni e alcune “prime volte” che vivi tra i diciannove e i ventun’anni che non ritornano più. E una volta che hai superato quegli scogli e vissuto quelle emozioni, sei così diverso che quasi ti dimentichi di quello che sei stato.

Anzi, quei due/tre anni sono una transizione importantissima per la vita perché definiscono l’adulto che sei e ti mettono alla prova, portandoti a riflettere su quello che sei, su quello che vuoi essere e se è il caso di cambiare drasticamente o mantenere i tratti peculiari che possedevi anche durante l’adolescenza.

Murakami affronta con grande capacità quegli anni di transizione di cui tutti serbiamo un ricordo dolceamaro. Per me i vent’anni sono un po’ il momento più “carnevalesco” della vita. Sei tu, ma non sei propriamente tu, e quando passano sei un altro.

Un romanzo sulla solitudine

Colpisce di questo romanzo la pazienza dell’autore con cui scolpisce il tema della solitudine.

Watanabe, per tanti versi, e sicuramente anche il personaggio di Midori sono due “freak”, che c’entrano poco e niente con il resto della società. Entrambi sentono il peso di questa diversità. Il primo, percependo un senso di straniamento dal resto del mondo, la seconda – più consapevole e positiva – cerca invece quell’unica persona in grado di valorizzare la diversità.

Nel complesso, il senso di solitudine che ti dà Norwegian Wood te lo danno pochi altri romanzi. Mentre lo leggi, ti ritrovi a pensare di essere solo, solissimo, in mezzo alla folla. Unico a chiederti perché la gente accetta le “regole del gioco” e tu, invece, soffri come un cane per questo isolamento.

Mi sono ritrovato molto in Watanabe, sia per il suo rapporto con la solitudine sia per il profondo senso di morale che lo muove e lo porta, paradossalmente, a essere ancora più solo di quanto sarebbe stato, se non avesse scelto di rispettare rigidamente alcuni “imperativi categorici”.

Un romanzo d’amore?

Murakami lo definisce un romanzo sentimentale. E’ sicuramente un romanzo che parla di sentimenti ed è profondamente intimista, ma, a mio avviso, non è un romanzo d’amore.

Anzi, ha più sensualità che amore nelle relazioni canoniche tra personaggi maschili e femminili.

Murakami dà un’interpretazione tutta sua della sessualità, che diventa “intimità casta”. Ci si avvicina, ci si ama, anche per poco, e il sesso è un atto neutrale, che può essere soddisfazione di un istinto ma anche un semplice modo di condividere del tempo, di dare una parte di sé, di manifestare supporto e vicinanza a persone a cui si vuole bene.

Non c’è niente di scandaloso nell’erotismo del libro, che, a mio parere, fa emergere anche in maniera piuttosto nitida la differenza fra cultura occidentale e asiatica.

Il finale

Questo libro – che definirei una versione riuscita de “Il giovane Holden” (eh già, non mi è mai piaciuto il capolavoro di Salinger) – ha una pecca: il finale.

Scusate la scarsa erudizione, ma il finale di Norwegian Wood è una schifezza. Non ti accorgi nemmeno di stare leggendo le pagine finali. Anzi, rimani là incollato ad aspettare che l’autore dia una chiave di lettura, che chiuda il cerchio della narrazione (che è un lungo flashback, tra l’altro) o che, quanto meno, esplori la fine della storia fra Watanabe e Midori, ma non accade nulla di che.

Ci si accontenta di uno strano paragrafo che ti lascia l’amaro in bocca e smorza tutta la tempesta di sentimenti che si era sviluppata con la lettura di (letteralmente) tutto il resto del romanzo.

E voi lo avete letto? Che cosa ne pensate?

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