L’amica geniale – il prototipo ideale di romanzo italiano

“E se uno vuole restare plebe, lui, i suoi figli, i figli dei suoi figli, non si merita niente.”

Ci arrivo in ritardo, ma ci arrivo. Ho finalmente – e mai questo avverbio ha avuto tanto significato – letto L’amica geniale – Volume Primo di Elena Ferrante.

Il romanzo – considerato il migliore del secolo da nientemeno che il New York Times – attesta il successo della letteratura italiana, anche al di fuori dei confini dello stivale.

Il romanzo è un gioiellino, e lo dice qualcuno che spesso critica la narrativa italiana contemporanea, perché troppo leziosa e troppo moderata nella descrizione dei sentimenti e dei problemi umani. Questo libro, però, è diverso, e dovrebbe essere visto, a mio avviso, come una pietra miliare, a cui ispirarsi per produrre nuove opere di fiction italiane.

L’amica geniale ci porta nella Napoli della metà (o poco dopo) del secolo scorso. Il rione è un paese a sé stante, una dimensione con le sue regole non scritte, ma impresse a fuoco nel sangue dei suoi abitanti. La storia segue Lenù e Lila, due bambine del rione che si incrociano a scuola, e le vede crescere fino al matrimonio della seconda delle due. Lila è l’amica geniale, quella che ha una testa fuori dal comune, ma che viene costretta a seguire una strada diversa.

Il romanzo ha una scorrevolezza unica. Il tono di voce di Ferrante è riconoscibile, vedi i suoi guizzi più brucianti all’interno di un testo che, però, risulta per tutti. La piacevolezza estetica della normalità è il punto di forza di un libro che racconta la sua storia con efficacia, senza autocompiacersi.

Che dire di più? Che non vedo l’ora di continuare con il secondo volume. E, ovviamente, leggetelo, se non lo avete ancora fatto!

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