Eccoci qui. Ho finalmente finito la (enorme) raccolta di Thomas Harris, portando al termine anche la lettura di Hannibal, romanzo edito nel 1999, che narra quella che potremmo definire come la “fine” della storia di Clarice e Lecter, ovvero i personaggi principali de “Il Silenzio degli Innocenti”. Ovviamente, Hannibal era apparso anche in “Red Dragon”, in cui, però, da contraltare faceva il personaggio di Will Graham.
Non conosco la ragione per cui Harris abbia deciso di creare Clarice e di mandare “in pensione” Graham (il quale non apparirà in nessun altro romanzo della saga, dopo Red Dragon), ma ciò che è chiaro è che lo scrittore, così come il personaggio di Hannibal, si è innamorato letterariamente del personaggio della Starling, al punto da scrivere quest’altro romanzo.
Se “Il Silenzio degli Innocenti” non poteva certo essere definito un “sequel” di “Red Dragon”, “Hannibal”, invece, ha alcuni dei connotati del “sequel”. È stato scritto, essenzialmente, per la curiosità dei lettori e per il piacere di Harris, che, con il romanzo precedente, aveva raggiunto vette ineguagliabili.
La trama di questo quarto libro (il terzo in ordine cronologico di pubblicazione) vede Lecter, ormai in libertà, inseguito da un milionario, a suo tempo deturpato e mutilato da Hannibal, ovvero il ricco Mason Verger, mentre Clarice si trova alle prese con una serie di beghe “politiche” all’interno del bureau, che sembrano portarla alla disperazione.
Hannibal è un romanzo molto lungo, pieno di dettagli, pieno di storie. Ci sono tanti racconti paralleli, tanti personaggi controversi e interessanti. E forse la carne sul fuoco è talmente corposa che le tante pagine del libro non bastano a soddisfare la curiosità quasi voyeuristica che l’autore suscita nei suoi lettori.
È un thriller che ha picchi narrativi ed emozionali, che porta sulla scena conflitti esterni ed interni dei vari personaggi, arricchendoli con la solita cruda violenza tipica della saga e con un’abbondante dose di suspense.
La parola che, più di tutte, mi sento di collegare al romanzo, in questa mia recensione, è la parola “oscurità”. Hannibal è un romanzo oscuro e controverso, che non ha un lieto fine. Anzi, ha il finale più sorprendentemente ambivalente e criptico che io abbia mai letto. Harris si rende capace di uno smembramento e di una rivoluzione dei suoi personaggi principali, che non sono mai veramente comprensibili agli occhi dello scrittore (è un finale talmente stupefacente che mi costringe a consigliarlo a tutti gli appassionati di thriller). E, soprattutto, è oscuro perché porta sulla scena due personaggi, forse secondari, che sono in realtà una potenziale miniera d’oro per uno scrittore che ama l’orrore. Mi riferisco a Mason e Margot Verger, che potevano ben essere protagonisti di un libro interamente a loro dedicato, che potesse chiarire tutte le brutture e le deviazioni tanto del loro rapporto che dei loro personaggi come unità individuali.
Nel complesso, cercando di chiarificare i concetti, mi sento di dire che “Hannibal” non è un capolavoro come “Il Silenzio degli Innocenti”, ma è un’opera valida, interessante, sconvolgente e appassionante, frutto di una fantasia perversa e piena di punti oscuri, capace di creare un mondo sconcertante in cui il lettore ama immergersi.
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