La lettura di queste ultime settimane è stata un thriller firmato Glenn Cooper. Si tratta de “Il Segno della Croce”, libro pubblicato a fine 2016, che ho fatto mio, sfruttando un’offerta nell’ultimo giretto alla Feltrinelli.
Non era il primo libro di Cooper che leggevo, essendomi, in passato, cimentato con la lettura de “La Biblioteca dei Morti” e de “Il Libro delle Anime”. Tuttavia, era molto tempo che non leggevo nulla di Cooper e il ricordo delle sue atmosfere si era sbiadito nella memoria.
Il libro, di cui tratterò, racconta la storia di un professore di teologia di Harvard, belloccio e anche abbastanza dissoluto, tale Cal Donovan, che, un po’ come Indiana Jones, affianca a un mestiere all’apparente da studiosi un’attitudine da duro e un machismo ineguagliabile. Per rendere l’idea del tipo di personaggio al centro di questo romanzo, azzarderei un paragone tra lui e Dylan Dog. Cal, come l’eroe dei fumetti, ha una donna ad ogni porto e un cuore d’oro.
L’inizio del racconto, in qualche modo, lascia presagire che il mistero al centro del romanzo ti porterà a scoprire alcuni intrighi all’interno della Chiesa, salvo toccare, poi, solamente di striscio le dinamiche politiche e i segreti dell’organizzazione clericale. Il vero obiettivo della storia, invece, è quello di seguire un mistero connesso con alcune Sacre Reliquie in virtù del loro legame al culto cristiano che Hitler desiderava propugnare. Il romanzo è occasione, quindi, per scoprire il particolare attaccamento di Hitler ad alcuni oggetti sacri, che dai seguaci del fuhrer, descritti ne “Il Segno della Croce”, vorrebbero essere utilizzati per scopi propagandistici, e non solo…
La trama è, all’apparenza, ingarbugliata, ma, ben presto, il lettore capisce quello che è il filo conduttore che lega i vari personaggi e gli accadimenti. Circa a metà del romanzo, inoltre, lo scorrere narrativo degli eventi cambia drasticamente, con una prosecuzione lineare che giungerà fino al momento conclusivo, nel quale Cooper ci delizierà con una serie di sorprese (che, a me, sono apparse anche troppo forzate).
Il libro di Cooper, a mio modo di vedere, è un libro che sfrutta parzialmente quella che è un’idea di fondo che definirei brillante. Sfrutta solo parzialmente le sue potenzialità perché ritengo che lo svolgimento sia, a tratti, fin troppo concitato e che la scrittura di Cooper non abbia guizzi degni di nota, che ti lascino qualcosa al termine della lettura.
Definirei, infatti, l’opera come una lettura molto leggera, sufficientemente interessante, con una trama ben organizzata e personaggi all’altezza, ma anch’essi non brillanti e sicuramente poco approfonditi.