L’ascesa di Voldemort – Fanfiction – Teaser

Buongiorno amici.

Da qualche tempo ho deciso di provare a scrivere una fanfiction dedicata all’universo potteriano. Approfitto anche del fatto che la Rowling abbia sempre incoraggiato gli appassionati a creare nuovi contenuti artistici col suo materiale. Vorrei, alla fine, creare un racconto lungo dedicato alla prima guerra magica e, quindi, alla prima “ascesa” di Voldemort. 

Qui di seguito vi lascio la prima scena che ho scritto, come una sorta di teaser. Come sapete ho tantissimi progetti miei da seguire, quindi non vi do assicurazioni su tempi e forme in cui pubblicherò questa fanfiction. Probabilmente avrete, alla fine, un PDF scaricabile direttamente qui sul blog. Intanto vi auguro buona lettura, premettendovi di aver cercato di essere quanto più fedele al materiale originale!

Il cielo era plumbeo quel giorno. Nuvole pesanti sormontavano le guglie delle torrette di Hogwarts e il lago appariva di un grigio scuro, impenetrabile.

Lui non disdegnava quell’atmosfera cupa. Da tempo aveva perso la sua consueta avvenenza e l’ombra era ormai un prezioso alleato. Nell’oscurità nessuno era mai veramente preparato a difendersi.

Salì le scale che conducevano al secondo piano, senza degnare di uno sguardo nessuno degli studenti. C’era trambusto. Gente che saliva e scendeva. Qualcuno si fermava più del dovuto, qualcuno lo fissava in modo impertinente, altri ragazzini sobbalzavano o rimanevano a bocca aperta. Di ciò lui non se ne curava. Non aveva intenzione di nascondere il suo volto. Non aveva nulla da temere in quel luogo; non doveva temere niente nemmeno dalla persona che si apprestava a incontrare.

L’entrata che conduceva agli appartamenti del preside si spalancò non appena si avvicinò e la scala a chiocciola iniziò a trasportarlo verso l’alto quando appoggiò entrambi i piedi sul primo scalino di marmo. La sua presenza era attesa dal preside. Non aveva dovuto chiedere a nessuno la parola d’ordine per accedere: era il segno che Silente lo stava aspettando.

L’anticamera era più ingombra rispetto ai tempi in cui quei locali appartenevano a Dippet. Adesso una fenice di medie dimensioni stava appollaiata su un trespolo d’argento. L’animale lo fissò con uno sguardo impertinente. Non aveva mai amato le fenici.

«Tom» disse in modo asciutto Silente, avanzando verso di lui. Il preside aveva un paio di occhiali leggeri a mezzaluna poggiati sul lungo naso adunco. Il mago indossava una tunica blu notte di seta. Era alto, elegante e aveva un’aria rispettabile.

Con un gesto della mano, Silente lo condusse all’interno del suo ufficio, al quale si accedeva da una porta di mogano, sulla quale campeggiava una targa di rame con il nome del preside.

«Allora, cosa ti porta qui Tom?» Il preside prese posto su uno scranno di legno antico, lasciando a Tom la sedia libera di fronte alla scrivania.

«Preside», iniziò lui, ossequioso, sfoggiando un sorriso forzato, «sono venuto qui a chiedere ciò che mi è stato rifiutato dopo la fine dei miei studi.»

«La cattedra di “Difesa contro le arti oscure”, dunque?»

«Esatto» sibilò lui. Solo in quel momento decise di sedersi. Era rimasto a lungo a fissare Silente dall’alto.

«Mmh…» La faccia del preside era corrucciata. Le rughe iniziavano a moltiplicarsi sul volto di uno dei maghi più potenti della storia della magia. «Vedi, Tom…»

«Puoi chiamarmi Voldemort. Anzi, lo preferisco» Da anni ormai aveva smesso di farsi chiamare “Tom Riddle”. Da anni aveva scelto per sé un nome che meglio rappresentasse la sua aspirazione alla grandezza.

«In verità, penso che continuerò a chiamarti Tom» fece Silente, quasi con aria assente, tenendo lo sguardo basso su alcune carte sparse sulla scrivania. «Ti ho conosciuto come un mio studente e preferisco continuare a chiamarti così. Sai, con l’avanzare dell’età si tende a diventare nostalgici. Spero di non arrecarti offesa.»

Era gentile, era cauto il vecchio Albus, pensò Voldemort. Non lo aveva mai amato, ma aveva abbastanza sale in zucca da temere il suo potere.

«Stavamo parlando della cattedra, giusto?» riprese il preside. «Bene… Temo di avere altri progetti per quel ruolo.» Solo in quel momento Albus sollevò lo sguardo su Voldemort, sorridendogli appena, con i lucenti occhi azzurri che ne osservavano i lineamenti ormai irriconoscibili. Adesso Voldemort aveva i capelli radi sulla testa, il naso schiacciato e gli occhi si erano tramutati in fessure glaciali.

«Non è ancora tempo, dunque?» disse lui con voce melliflua. Il colloquio era andato esattamente come si era aspettato. Silente non era cambiato molto in tutti quegli anni. Lo aveva respinto con cortesia e con rispetto, così come pensava che avrebbe fatto.

Il preside annuì, rialzandosi. Il loro incontro era già terminato. D’altra parte, a nessuno dei due piaceva la reciproca compagnia. Era meglio così: era arrivato a Hogwarts per un’altra ragione. Eppure, in quei momenti, mentre stava per oltrepassare la soglia degli appartamenti del preside e ritornare nel corridoio dei Gargoyle, si sentì avvampare di rabbia. Un rifiuto era sempre troppo da sopportare per uno come lui.

Strinse la mano a Silente, congedandosi, ma non appena la porta dello studio del preside si richiuse e lui si ritrovò in corridoio, estrasse la bacchetta. Non c’era nessuno intorno. Poche parole oscure e difficili da udire uscirono suadenti dalle sue labbra candide. Una scintilla nera si propagò dalla punta e svanì nel giro di pochi secondi. Da quel momento in poi tutti i professori di Difesa contro le arti oscure avrebbero fatto molta fatica a tenersi stretto il ruolo che a lui era stato negato per ben due volte. Voldemort sorrise soddisfatto, ormai pronto ad allontanarsi dall’ufficio di Silente.

Nascose la bacchetta, appena in tempo per evitare sguardi indiscreti. Un paio di studenti con in mano i libri di Babbanologia stavano camminando poco più avanti, come dispersi. Lui, d’altra parte, non era smarrito. Sapeva esattamente dove andare. Passò una mano sulla tasca destra, in cui era riposto un involto di stoffa contenente il diadema di Corvonero. Era tempo di lasciarlo nel posto in cui sarebbe stato più al sicuro.

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