Buongiorno amici, lettori.
Oggi voglio parlarvi di un libro che mi è stato regalato per il compleanno. Sto parlando di “Stoner” di John Williams, romanzo del 1965, edito in Italia da Fazi Editore.
La trama:
William Stoner trascorre una vita senza eccessi e senza avventure. Durante tutta la sua esistenza non si allontana mai più di 150 chilometri dalla cittadina natale, Booneville, in Missouri. Destinato alla facoltà di agraria, scoprirà che la sua vera passione sono le lettere e intraprende un percorso che lo porterà a diventare professore nell’università di Columbia. Senza riuscire mai a fare carriera, Stoner vivrà una vita costellata da piccoli e grandi dolori e da brevi periodi di felicità.
Lo stile di John Williams
Oggi voglio incominciare con un approfondimento sullo stile di scrittura dell’autore.
Stoner è un libro sui generis perché si pone l’obiettivo di raccontare una vita normale, dall’inizio alla fine, senza un focus particolare su qualche evento emozionante. Nella sostanza, Williams vuole provare a rendere un soggetto non adatto a un romanzo un’opera letteraria.
Straordinariamente, Williams riesce in questo complesso obiettivo e lo fa grazie a uno stile unico e a una narrazione disomogenea ma assai seducente.
Stoner ti cattura con scene di vita vera, mostrate senza orpelli retorici, che ti permettono di immergerti nella vita del protagonista.
Tuttavia, come detto, lo stile dell’autore è disomogeneo, perché ricorre spesso al foreshadowing e ad ampie sezioni di “riassunto” per collegare le scene che si vogliono mostrare.
Quello che ne viene fuori, però, non è un romanzo difficile da leggere o che porta a un allontanamento tra autore e storia. Anzi, ne viene fuori un romanzo che sembra una pellicola cinematografica, che intermezza scene “veriste” a sezioni di raccordo che sembrano quasi “una voce fuori campo”, capace di indirizzare il lettore e di plasmarne i sentimenti.
Il mio commento
Stoner è un romanzo amaro. Un romanzo di quelli che puzzano fin troppo di realtà, di quelli che ti fanno tremare le gambe perché i dolori di Stoner e le sue sfortune sono anche le nostre. O, per meglio dire, sono le sfortune e i dolori che sperimentiamo e sperimenteremo inevitabilmente nelle nostre vite.
Alla fine, ci si ritrova di fronte una lettura che stranisce. Ci si chiede il perché stiamo osservando questo “piccolo uomo” pieno di grandi valori, questo piccolo uomo a cui la vita ha concesso un solo lusso, quello di dedicarsi alla letteratura, a fronte di una miriade di ostacoli e di infelicità che accetta sempre con pacatezza.
Eppure, malgrado lo sbalordimento del lettore, Stoner è un romanzo che funziona, che affascina e coinvolge. Ti perdi nella lettura al punto tale che non sai nemmeno davvero quante pagine hai letto, quando decidi di fermarti per prendere una pausa.
La moglie Edith
Credo che una riflessione vada spesa per la moglie di Stoner, la glaciale Edith.
Io non so davvero quali drammi si celino dietro a un personaggio che diventa fastidio persistente non solo per il protagonista ma anche (forse soprattutto) per il lettore.
Edith è una voragine, un buco nero che cancella ogni cosa, che svuota di energia e di felicità gli spazi di Stoner e della figlia. Edith è un personaggio strabiliante per la sua vividezza, per la presenza corposa di cui impasta le pagine di Williams.
Non credo di aver mai percepito tanto interesse per un personaggio “così vuoto”. Credo che il suo utilizzo sia emblematico per scrivere pagine sull’infelicità quotidiana, sulle vite fatte di (sola) apparenza.
Lo consiglio?
Credo che sia uno dei romanzi più belli che abbia mai letto. E’ stata una sorpresa e un’avventura leggere un libro che è uno straordinario esempio di esperimento letterario riuscito.
Quindi sì, ve lo consiglio!
Anch’io l’ho letto, all’inizio non riuscivo ad apprezzarlo poi invece ho realizzato quello che hai scritto tu nel titolo, è una storia normale raccontata in modo straordinario
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