Recensione di Mindhunter: l’autobiografia da cui è stata tratta la serie Netflix

Buongiorno, amici lettori.

Oggi vi voglio parlare di un libro che ho amato moltissimo. Sto parlando di “Mindhunter” l’autobiografia (scritta in collaborazione con Mark Olshaker) di John Douglas, il pioniere dell’analisi comportamentale e del criminal profiling nell’FBI. Il libro è, inoltre, stato trasposto in una serie Netflix original di grande successo.

DI COSA PARLA MINDHUNTER?

Come detto, stiamo parlando di un’autobiografia, ma la verità è che il libro si focalizza sui casi più importanti su cui Douglas ha lavorato nella sua carriera. In generale, dopo una breve premessa sulle vicende che lo hanno portato all’FBI e poi a concentrarsi sulla psicologia dei criminali, Douglas sfrutta i casi studiati per portare avanti alcune teorie e differenziare varie tipologie di serial killer.

La tesi centrale di Mindhunter, portata avanti con grande passione e chiarezza dall’autore, è quella che vede una netta differenza fra la psichiatria e la psicologia generale e quella criminale. Nel primo caso, ci si basa su quanto il paziente rivela per prevedere il comportamento, nel secondo caso si parte dal comportamento per comprendere il tipo di criminale, il movente e le sue caratteristiche.

IL MIO GIUDIZIO

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Devo ringraziare Valentina e Giada che hanno organizzato il GDL #diariodiunassassinoseriale su Instagram perché ritengo Mindhunter una delle migliori letture di questo 2021. Scoprire John Douglas è stato illuminante. Stiamo parlando, a mio modo di vedere, di un vero genio che è riuscito a vincere gli scetticismi e a creare una nuova branca di studi che da decine di anni ormai fornisce una nuova arma nella lotta ai crimini violenti e soprattutto ai delitti seriali. E il libro che ha scritto in collaborazione con Olshaker rispecchia la mente brillante di Douglas che ha dato vita a un’opera che contiene informazioni, ma che allo stesso tempo non annoia mai e non perde di vista nemmeno lo scopo di creare una vera e propria autobiografia dello stesso autore.

Tra i casi maggiormente interessanti analizzati in Mindhunter figura senz’altro quello legato all’uccisione dei ragazzini afroamericani ad Atlanta (tra l’altro raccontato nella serie Netflix). Mi hanno colpito, inoltre, in particolar modo i resoconti dell’omicidio di Francine Elveson e di Karla Brown.

La lettura, inoltre, offre un paio di spunti incredibilmente interessanti.

Innanzitutto, quando si parla di infermità mentale. Per Douglas, infatti, si potrebbe considerare non imputabile solo chi non ha nessuna coscienza o consapevolezza al momento del crimine. E per lui questo restringerebbe l’ipotesi a un delinquente in stato delirante (che non avrebbe, quindi, la capacità di sfuggire alla polizia).

E in secondo luogo quando parla di libertà condizionale. Douglas sostiene che difficilmente chi si macchia di determinati crimini possa essere riabilitato e che il principale criterio per prevedere atti di violenza sia la commissione in precedenza di altri atti di violenza. A suffragio della sua tesi, riporta svariati casi in cui i killer (seriali o meno) rimessi in libertà sono ritornati a uccidere.

La schiettezza di Douglas rende l’opera davvero un must-read per gli appassionati di cronaca nera e di omicidi seriali. Si tratta, infatti, di un libro che consiglio vivamente ai patiti del genere.

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5 pensieri riguardo “Recensione di Mindhunter: l’autobiografia da cui è stata tratta la serie Netflix

  1. se non avessi 20 libri ad attendermi, potrei anche leggerlo; sembra interessante

    ps:
    “E il libro che ha scritto in collaborazione con Olshaker rispecchia la mente brillante di Douglas che ha dato vita a un libro che contiene informazioni”
    qui la ripetizione è ridondante

    "Mi piace"

  2. Ce l’ho in lista da diverso tempo. Prima o poi devo recuperarlo, sugli omicidi di Atalanta c’era un capitolo abbastanza sostanzioso nel libro di Bob Keppel che oltre ad analizzare gli omicidi Bundy e Ridgway ha ricostruito la storia sull’evoluzione del metodo investigativo. Keppel era della polizia, sarebbe interessante leggere anche di qualcuno che in quell’epoca era invece all’FBI.

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