“Pace non trovo e non ho da far guerra
e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.Tal m’ha in pregion, che non m’apre nè sera,
nè per suo mi riten nè scioglie il laccio;
e non m’ancide Amore, e non mi sferra,
nè mi vuol vivo, nè mi trae d’impaccio.”
Oggi il nostro viaggio all’esplorazione dell’amore in letteratura inizia così, con le parole di un letterato, poeta e filologo che ha segnato per sempre a letteratura italiana. Per chi non lo avesse riconosciuto, stiamo parlando di Francesco Petrarca.
PETRARCA
Petrarca è da molti definito un precursore dell’umanesimo. Infatti, fu tra i primi filologi della storia e pose al centro dei suoi studi la ripresa delle opere classiche.
La filologia e la rivalutazione della tradizione letteraria greca e latina finirà per influenzare inevitabilmente Petrarca nelle sue composizioni, sebbene la sua opera più celebre, il Canzoniere, non sia composta in latino. Anzi, è tra le opere che maggiormente hanno segnato lo sviluppo della lingua e della letteratura italiana.
Petrarca è un uomo del suo tempo e vive in un contesto storico – il XIV secolo – in cui si assiste al superamento del teocentrismo a favore dell’antropocentrismo. Per questo, nella lirica petrarchesca il focus è sul poeta, sull’individuo che riflette, che ragiona, che pensa e, soprattutto, che si strugge per l’amore.
LAURA: DONNA CONCRETA E UN AMORE TORMENTO
Le innovazioni letterarie che si possono rilevare dall’analisi dell’opera di Petrarca sono essenzialmente due:
Innanzitutto, la Laura di Petrarca (protagonista al pari dell’io-poeta nel Canzoniere) non è più donna eterea. È del tutto concreta e viene, più e più volte, descritta nei suoi caratteri fisici. Sebbene non si arrivi ad affrontare la tematica del desiderio erotico, Laura è una donna concreta dotata di un elevato potere seduttivo.
La seconda innovazione consta in quello che è il riflesso dell’amore sul poeta-innamorato. Amare non è più elevazione, trascendenza. L’uomo non si avvicina più a Dio per il tramite del sentimento dell’amore. L’amore per una donna inarrivabile come Laura diviene, dunque, tormento e struggimento.
La riflessione dell’io-innamorato, la descrizione dello stato d’animo, della “prigione” in cui viene rinchiuso l’innamorato che desidera e non raggiunge l’oggetto del desiderio, è il nuovo tema centrale delle composizioni petrarchesche e di molti dei suoi successori.
Come è stato evidenziato dalla critica letteraria, risulta evidente la contrapposizione fra un essere placido, in pace con la natura (la donna amata) e l’innamorato che, invece, non ha requie ed è schiavo di una smania sentimentale inappagata e inappagabile.
LAURA: DONNA CONCRETA E NON SOLO
Ciò che preme sottolineare, però, è che Laura non è solo donna concreta, è anche interpretabile come sforzo poetico, come qualcosa che va al di là della creatura umana. Laura è la personificazione del bello e la riunione di una serie di caratteri che all’epoca venivano considerati come belli e nobili (i capelli dorati, la pelle candida). L’osservazione del bello è, dunque, un’altra tematica centrale della lirica amorosa del periodo.
UMANESIMO
L’umanesimo è una corrente culturale, letteraria e filosofica che si sviluppa negli ultimi decenni del Trecento in Italia e che rivestirà un ruolo centrale per tutto il Quattrocento europeo.
La parola chiave con cui possiamo iniziare la nostra analisi dell’umanesimo è “filologia”. Con l’umanesimo, infatti, nasce la filologia, da intendersi come studio critico e consapevole delle fonti letterarie classiche.
Assistiamo, contestualmente al diffondersi di questa nuova branca di studi, a una ripresa del classico che influenza in maniera sistematica la produzione letteraria del periodo. Questo porta soprattutto a un “culto dell’imitazione”. Si assiste, quindi, a una ripresa di stilemi e archetipi tipici della letteratura classica sia greca che latina. Una imitazione che, per alcuni critici, è mistificazione di un inaridirsi del pensiero nuovo. Il venir meno del fermento culturale tipico del periodo comunale si arresta con l’avanzare delle Signorie.
CONTESTO STORICO: DAI COMUNI ALLE SIGNORIE
Contestualizziamo il periodo storico in cui ci troviamo, e cioè nel passaggio dal Comune alla Signoria. Un fenomeno generale che, tra la fine del Duecento e i primi del Trecento, coinvolse l’Italia centrale e settentrionale.
Tale transizione fu favorita dalla forte conflittualità interna che alla lunga risultò ingovernabile nell’ambito dell’organizzazione civile e politica del Comune. Uno scontro che non riguardava più clan e gruppi familiari, ma le arti minori e il popolo minuto contro le arti maggiori e il popolo grasso. In sostanza, in termini marxisti, una lotta tra classi sociali.
Accadeva, quindi, che la fazione vincitrice attribuisse il potere a un’unica persona, perché lo gestisse da sola. Così un solo signore (da qui deriva la parola Signoria) concentrava in sé tutta l’autorità e amministrava tutto il potere attraverso una burocrazia che rispondeva a lui. Sostanzialmente vi fu la distruzione delle libertà comunali, ma per la pace i cittadini accettarono volentieri queste modifiche.
Tali signorie, per avere un valore giuridico più elevato, ottennero un titolo nobiliare dal papa o dall’imperatore e così le Signorie si trasformarono in Principati o Ducati, a seconda del titolo attribuito. Rimaneva di fatto un potere nelle mani di uno o pochi, autonomo e quasi assoluto.
Attorno al signore si creò una “corte”, di cui facevano parte non solo il personale amministrativo, ma anche intellettuali e artisti. Questi ultimi servivano al signore sia per proteggere la cultura e le arti, ma anche per ricavarne prestigio e consenso. È questo il fenomeno del “mecenatismo” (così chiamato da Mecenate, il collaboratore di Augusto che proteggeva i letterati e dirigeva la politica culturale dell’Impero romano).Grazie ad esso le Signorie divennero splendidi centri di cultura, in cui si coltivavano la letteratura, la filosofia, le scienze, le arti.
FILOSOFIA DELL’UMANESIMO
«Ciò che l’occhio è per il corpo, la ragione lo è per l’anima».
Parole di Erasmo da Rotterdam che riassume il fenomeno culturale dell’Umanesimo. Humane litterae: le discipline letterarie, storiche e filosofiche tipiche dell’uomo iniziarono ad imporsi all’attenzione gli studiosi del Quattrocento.
Si rimise al centro la capacità di ragionare dell’uomo, non per questo dimenticando i valori cristiani. Fu un fenomeno culturale che prese vita in Italia negli ultimi anni del XIV secolo e che si sviluppò in Europa. L’elemento caratterizzante di questo movimento culturale fu, come abbiamo già visto, la riscoperta della cultura dell’antichità classica greco-romana.
Si tende a pensare che gli umanisti considerarono un’epoca barbara e oscura il Medioevo, ma tale accezione negativa arriverà solo con i contributi degli illuministi nel ‘700. Semplicemente gli studiosi del Quattrocento misero l’accento sulla capacità dell’uomo di agire nella vita civile e politica e si accostarono ai classici con la volontà di far rivivere, attraverso lo studio e l’imitazione, le virtù del mondo antico senza eliminare i valori cristiani ma semplicemente approfondendoli.
Volendo schematizzare, questo comportò
- Il proliferare di biblioteche e università dove erano conservati i testi antichi, rispetto al monopolio che avevano i monasteri (che rimangono comunque centri importanti del sapere) nel Medioevo
- La formazione giuridica di molti intellettuali, basata sulla ripresa dello studio del diritto romano.
- Lo sviluppo delle città dell’Italia centro-settentrionale, e in particolare Firenze, caratterizzate da vitalità economica e culturale.
LA FIRENZE DI LORENZO DE’ MEDICI
Lorenzo de’ Medici fu promotore di un nuovo gusto per gli oggetti con significato filosofico e agevolò il confronto tra artisti e filosofi della sua corte. I suoi interventi spaziarono in ogni ambito della città.
Egli istituì la prima accademia d’arte della storia, il Giardino di San Marco, dove anche lui si esercitò in arti letterarie, componendo sonetti e scritti filosofici e religiosi.
In campo architettonico commissionò molte costruzioni, come la villa di Poggio a Caiano, del 1480, realizzata da Giuliano da Sangallo. La villa fu la prima ad essere aperta verso il giardino esterno tramite il loggiato, che fungeva da passaggio intermedio, e divenne un modello per l’architettura privata degli anni successivi.
Sandro Botticelli fu un altro artista particolarmente legato ai Medici. Durante il periodo laurenziano dipinse opere famosissime, come la Primavera, la Nascita di Venere e la Madonna del Magnificat, tutte custodite agli Uffizi. Inoltre, l’epoca laurenziana vide gli esordi di due grandi geni del Rinascimento: Michelangelo e Leonardo da Vinci.
Lorenzo il Magnifico promosse la diffusione dell’arte sia letteraria, sia figurativa, con l’invio dei migliori artisti fiorentini nelle varie corti italiane per ingraziarsi i governanti degli altri stati.Nel 1481 quando, per riconciliarsi con papa Sisto IV dopo i fatti della congiura dei Pazzi, inviò a Roma Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli e altri artisti, che collaborarono alla prima versione della Cappella Sistina.Questa strategia contribuì a creare il mito dell’età laurenziana come epoca d’oro del mecenatismo, ma fu anche all’origine del declino della creatività artistica fiorentina, favorendo la crescita di altri centri, in particolare Roma e Milano.
L’evoluzione verso un linguaggio più erudito determinò a sua volta il restringimento della platea di riferimento, divenendo pienamente comprensibile solo dalle colte élite delle corti. L’arte si distaccò dalla vita pubblica, concentrandosi sull’evasione dalla vita reale.
LA LETTERATURA MEDICEA E IL MECENATISMO
Importante contributo allo sviluppo delle arti nel quindicesimo secolo viene dato dal mecenatismo. Con il termine mecenatismo si intende la prassi dei signori di riunire attorno a sé intellettuali e letterati e contribuire ai loro studi sostenendoli economicamente. In qualche modo, in un periodo in cui si attenuano i conflitti, le grandi opere di ingegno diventano strumento per dare lustro a una casata.
Quintessenza del mecenatismo è la corte di Lorenzo de’ Medici. In questa sede, però, si preferisce analizzare la letteratura amorosa proprio per il tramite delle opere dello stesso Lorenzo, che si cimentò nella composizione di diverse liriche in volgare.
L’AMORE NELLA LETTERATURA MEDICEA
“Facile e dolce all’entrar fu la via;
or non ha questo laberinto uscita,
e sono in loco dove sempre io ardo.”
Le parole di Lorenzo ci servono per scolpire come veniva “cantato” l’amore nel periodo. Potremmo dire, senza esitazione, che si rileva una continuità fra Petrarca e la produzione letteraria successiva.
Certo, le composizioni tipiche della letteratura medicea sono meno originali e innovative di quelle petrarchesche e spesso infarcite di citazioni e richiami alla letteratura classica, ma la tematica amorosa è ancora dipinta come tormento. L’amore è ancora tensione inappagata. L’amore è identificato come un vero e proprio tiranno in grado di soggiogare il cuore. Un tiranno per nulla disposto a liberare l’innamorato, che è così costretto a un ardere continuo e incessante, a un vero e proprio logoramento. L’incanto del bello, dunque, viene rappresentato sia nel suo volto invitante (la magnificenza della donna che suscita l’amore) sia nel suo contraltare (la sofferenza e la tensione centrifuga a cui è sottoposto colui che ama).
Giovanni Di Rosa
Luca Amato