Guardando all’ultima parte di questo 2016 non si può non menzionare la serie evento diretta da Paolo Sorrentino. Ci si aspettava qualcosa di grosso, di sconvolgente, un vero e proprio fenomeno da questa produzione ad alto budget. Qualcosa che potesse competere con i colossi americani. Qualcosa in grado di attirare l’attenzione del pubblico come solo “mostri sacri” della serialità hanno fatto in questi anni. E io penso che la serie, frutto di una collaborazione internazionale fra Sky, HBO e Canal+, è davvero riuscita a produrre un fenomeno. Un fenomeno che io oserei definire culturale.
Di The Young Pope hanno parlato praticamente tutti. Nessuno è rimasto indifferente. E il grosso di questo successo non l’ha fatto, a mio parere, la tematica della serie, che ci porta ai vertici della Chiesa Cattolica e che addirittura ci sottopone agli occhi l’agire di un pontefice nei suoi momenti più privati, ma il modo di realizzare e portare sul teleschermo questa tematica. Si è, infatti, provato tante volte ad entrare nel mondo nascosto della Chiesa, nelle sue trame, nei suoi affari, nei suoi sussurri. E una larga parte dell’opinione popolare è ampiamente a conoscenza di molti dei meccanismi che stanno dietro un centro di potere come è – inevitabilmente – l’istituzione della Chiesa Cattolica. Ma non era la perfetta riproduzione dei luoghi più importanti di questa istituzione o lo svelamento di quella che è una verosimile vita quotidiana di un papa a dare alla serie la benzina per far divampare l’incendio di interesse che ha suscitato nei fan e nei media. La miccia di questo fuoco incandescente è stata la produzione, il protagonista, la recitazione, le inquadrature, le frasi ad effetto, gli argomenti trattati.
The Young Pope ha tanto, tantissimo, forse troppo. Affronta i problemi e le tematiche più scottanti e di interesse della società moderna attraverso gli occhi di un giovane papa predestinato, perfetto prototipo dell’ambivalenza amata da Sorrentino. Un personaggio cinico, ma che ricerca un bene superiore. Una sorta di eroe machiavelliano volto alla ricerca del bene ad ogni costo. Un personaggio che non si può rinchiudere in una definizione, in un aggettivo. Un personaggio troppo controverso per essere ingabbiato da un’opinione personale.
Io stesso, alla fine della serie, non sapevo cosa pensare, non sapevo che idea farmi dell’epilogo e del protagonista. E penso che questo sapore di non definito sia voluto fermamente dal regista. E il non definito è sicuramente la perfetta chiave di interesse per la seconda stagione già annunciata.
The Young Pope non è una serie tradizionale, per la quale proveremo empatia coi personaggi o per la quale inizieremo a fantasticare sugli sviluppi della trama, ma è una serie che affascina l’intelletto e la curiosità di uno spettatore, che riesce ad essere attanagliato e a non annoiarsi semplicemente osservando gli sviluppi del particolare e bizzarro carattere del protagonista, magistralmente interpretato da Jude Law.
Questa serie riesce a soddisfare un piacere voyeuristico di osservare ciò che non deve essere osservato e di sentire ciò che ufficialmente non si potrebbe mai sentire. Questa serie seduce con la semplicità e la crudezza con le quali affronta gli argomenti più spinosi della società moderna.
Per tutta questa serie di ragioni, alle quali si va ad aggiungere un cast superlativo e una cura puntigliosa in ogni singolo dettaglio o parola di un dialogo, ritengo che The Young Pope debba essere visto, anche da chi sia meno avvezzo al mondo della serialità, perché può davvero essere considerato un anello di congiunzione fra quello che è sempre stato il mondo delle serie TV e il nuovo mondo della serialità televisiva che sta vedendo il suo albore in tempi recenti, con una cura e un’attenzione che lo hanno ormai reso prossimo al cinema.