Torniamo a parlare di libri e lo facciamo con la recensione del secondo capitolo della saga thriller frutto della pena di Robert Bryndza. In passato ho parlato del primo (Qui) che, come il nuovo romanzo, è presto diventato best seller, venendo tradotto per la distribuzione in 27 differenti paesi.
Bryndza, autore per la Newton Compton, ha 39 anni. Ha sempre amato la scrittura e si è fatto conoscere col suo thriller d’esordio al Premio Roma. È inglese (le storie da lui scritte sono ambientate in Inghilterra) e vive in Slovacchia (la protagonista è di origine slovacca).
Perché questi cenni biografici? Perché penso che nel secondo romanzo, quello da me appena letto, Bryndza ha messo molto di sé. Innanzi tutto, bisogna dire che ho scoperto con una breve ricerca che Bryndza è omosessuale e, a tutti gli effetti, sposato, curiosità che ho ricercato sul web alla luce della dozzina di riferimenti al mondo LGBT presente ne “La Vittima Perfetta”.
Posso quasi spingermi a dire che sono due le tematiche principali in questo secondo thriller. Da una parte una serie di assassini, commessi da una scaltra killer che mette in scacco il commissariato e la polizia metropolitana, dall’altro l’approfondimento sulle relazioni omosessuali e su alcune disfunzionalità tipiche di esse, che si riverberano poi in un senso di sfiducia e di biasimo di chi si sente estraneo al mondo queer.
Il libro, in sé, come il primo, si legge facilmente. Scorre bene ed è sicuramente divertente. In qualche modo sembra che Bryndza – visti anche i riferimenti espliciti – si ispiri a “Il Silenzio degli Innocenti”, seppur carpendone poco di quell’arte senza tempo con cui Harris permea le sue pagine. I libri di Bryndza, infatti, hanno meno dimensioni e sfaccettature, ma sono comunque intriganti.
Si apprezza di Bryndza come, nella semplicità di un impianto narrativo non così complesso, riesca a creare storie appassionanti e un thriller avvincente, che non annoia praticamente mai.
L’unica vera critica – e, ben intesi, non è una cosa di scarsa importanza – che mi sento di muovere è rivolta alla presenza di un grosso buco che rimane nella trama del romanzo, dato che, nella parte finale, l’assassina ucciderà la sua ultima vittima e non si darà alcuna spiegazione su come era riuscita a rintracciarla. Un aspetto davvero non da poco, che, per chi legge con interesse, non passa di certo inosservato.