La lettura della scorsa settimana è stata “La Ballata di Adam Henry” (The Children Act nel suo titolo originale), romanzo rientrante, a pieno titolo, nella letteratura sentimentale, che tratta le vicende di una giudice britannica e di uno spinoso caso giudiziario.
Hanno tratto da questo libro un film con Emma Thompson (che ancora non ho visto), distribuito nelle sale italiane lo scorso anno, con il titolo “Il Verdetto”.
La tematica oggetto del romanzo era di particolare interesse per me, essendomi occupato del Children Act durante i miei studi per la tesi di laurea. E mi aspettavo, invero, un libro molto coinvolgente ed emozionante, che riuscisse a scolpire in pieno l’importanza e la delicatezza di tematiche come l’autodeterminazione in campo medico e l’esigenza di tutelare l’interesse superiore del minore, in caso di contrasti tra ospedali e famiglia.
La storia del libro, difatti, ruota attorno alla decisione della protagonista, il giudice Fiona Maye, su un caso di rifiuto di trasfusione da parte di un diciassettenne, appartenente a una famiglia di Testimoni di Geova.
Penso che trattare argomenti del genere sia molto rilevante e molto utile, dato che è imprescindibile andare a toccare le menti e l’immaginario collettivo su problematiche, da cui tendiamo spesso a rifuggire, trincerandoci dietro i dogmi delle nostre religioni.
Il romanzo, però, è, a mio modo di vedere, eccessivamente tecnico. Si compone di due anime, una sentimentale, relativa più al rapporto coniugale della protagonista che alle vicende del diciassettenne malato, e l’altra, prettamente giuridica, in cui l’autore parla minuziosamente del sistema di giustizia e di tutti suoi difetti.
L’incipit è particolarmente lento, farraginoso, con la narrazione che avvince il lettore soltanto attorno alla cinquantesima o sessantesima pagina (il libro si compone di meno di 200 pagine). La storia del minore, figlio di Testimoni di Geova, Adam Henry, è interessante e commovente, a tratti. Serve a stimolare il lettore, prima di farlo ripiombare negli ampi scorci descrittivi e didattici di un autore che tende a prendersi troppo sul serio, facendo finire in secondo piano le emozioni, che, invece, dovevano essere oggetto principale di una simile storia.
McEwan ha sicuramente un bel periodare, un lessico variegato e chirurgico, ma, almeno in questo romanzo, ha peccato di disequilibrio, non riuscendo ad armonizzare le parti descrittive e didattiche e quelle emozionanti e coinvolgenti, mettendo in piedi una lettura che sembra sempre in procinto di decollare, e non lo fa mai. La conclusione non è un climax, ma una lieve dissolvenza nel nulla.
Volevo vedere il film quando è uscito ma poi non sono andata. Il libro ad essere sincera non mi ispira granché!
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Il film un po’ meglio effettivamente.
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