L’ultima pellicola che ho visto al cinema è un film di Almodòvar, “Dolor Y Gloria”, per altro si tratta di un’opera in gara a Cannes. Il film in questione, un film drammatico-biografico, ruota attorno alla storia di Salvador Mallo (Antonio Banderas), un regista che si affaccia all’ultima fase della sua vita con un bagaglio pieno di ferite mai guarite e di dolori – tanto fisici quanto psichici – da cui non riesce ad allontanarsi. Salvador è, in qualche modo, pretesto per il regista di raccontarsi. Almodòvar ha, infatti, affermato che la pellicola racconta la sua storia. Dice che un 40% dei fatti narrati sono autobiografici, ma le sensazioni e i sentimenti di cui si tratta nel film sono interamente autobiografici, tratti dalla sua esperienza di vita.
Si tratta di un film che non pone un focus su una tematica in particolare, che non si pone l’obiettivo di narrare una storia. Il mio primo pensiero è stato quello di vedere una storia (o, meglio, una serie di storie) che si sarebbe adattata meglio a un romanzo che ad un film. Credo che l’obiettivo di creare atmosfere più che di narrare una storia, a tratti, abbia cozzato con la fluidità del film, che, a un certo punto, è risultato essere oltremodo lento e dispersivo.
C’era una disomogeneità narrativa che, però, la critica non ha considerato negativamente. Anzi, ci si è soffermati su come l’autore abbia parlato di se stesso e si è valutata la pellicola come una sorta di “opera conclusiva” di Almodòvar, che analizza se stesso e il suo lavoro.
Non mi sento di criticare il film o il modo con cui si è scelto di raccontarlo, ma, di certo, non mi sento un sostenitore di questo tipo di impostazione narrativa. Penso che bisogni sempre conquistare il fruitore con una storia. Il fruitore deve essere attratto da una fine, da uno sviluppo, da una svolta. Invece, in “Dolor Y Gloria” le storie sono troppe e nessuna spicca sulle altre.
Si giunge alla conclusione della visione, senza sapere qual è stato l’evento o la tematica più significativa in questo film. Se il rapporto conflittuale con la madre, la dipendenza oppure il ritorno di una vecchia fiamma.
C’è una scena, però, molto potente che, alla fine, fa scattare in qualsiasi spettatore un momento di comprensione. Assistiamo a una scena di nudo molto audace, specialmente per il contesto in cui accade e per il fatto che ad essere esposto alla nudità di un corpo adulto, è proprio un bambino (il protagonista durante la sua infanzia). A quel punto, infatti, si riesce a capire che il film, per tutto il tempo, ha portato sullo schermo la mente di una sola persona. È un film biografico dedicato a un personaggio immaginario (che ha MOLTO del vero autore della pellicola) che, tuttavia, pone il suo focus non tanto sulla storia, ma piuttosto sulle sensazioni, sui pensieri, sugli sviluppi psichici del protagonista.
Ho apprezzato la fotografia del film. Spesso i colori vividi e i contrasti erano davvero affascinanti da osservare, anche se ritengo che il film perderà molto al di fuori dell’atmosfera della sala.
Altrettanto mirabile è stata la performance degli attori, con un Banderas dallo sguardo tagliente, capace di incarnare il suo personaggio in situazioni e scenari differenti, regalando sempre intensità e catturando lo spettatore.
Il giudizio complessivo che do al film è positivo. Non è stato un film avvincente e non sono d’accordo con come si è impiegato il tempo nel corso della pellicola, specialmente per le tempistiche e la durata dei flashback nella seconda parte della pellicola, ma ritengo sia ottuso contestare un film che è, in definitiva, il modo in cui un artista ha deciso di auto-rappresentarsi e farsi scoprire dal pubblico.
È un’opera di interesse, con scene molto di impatto, a tratti, che merita senz’altro di essere guardata.