Recensione di “Misery” di Stephen King: un capolavoro che esplora la “salvifica maledizione” della scrittura

Misery di Stephen King

Mi ripromettevo di leggere Misery di Stephen King da molto, moltissimo tempo. Negli ultimi mesi ogni volta che andavo in libreria controllavo se ci fosse la ristampa, ma a quanto pareva era sempre il primo a scomparire dei “vecchi libri libri kinghiani” (è un romanzo del 1987).

Questa settimana, però, finalmente l’ho trovato e l’ho letteralmente divorato. Quindi oggi parliamo di un libro il cui solo commento potrebbe occupare centinaia e centinaia di pagine!

La trama

Paul Sheldon è uno scrittore famoso che finisce vittima di un incidente stradale in Colorado. Sfortuna vuole che a ritrovarlo sia la sua “ammiratrice numero uno”, Annie Wilkes, una donna psicotica che lo costringerà a mesi di prigionia nella sua tenuta isolata a Sidewinter. 

Annie terrà in vita Sheldon e lo scrittore, in cambio, sarà costretto a riportare in vita il personaggio letterario adorato dalla sua carceriera. 

Un libro autobiografico

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Credo che ci voglia molto, molto poco per leggere in “Misery” scorci biografici del “vero autore” del libro. 

Dietro Paul Sheldon si nasconde King e ci sono vari punti del libro in cui è facile individuare la sovrapposizione fra la persona dell’autore e il personaggio protagonista. 

Questa sovrapposizione è chiarissima quando King parla della critica letteraria e di come si bersaglino “ingiustamente” gli scrittori popolari. King non ha mai nascosto di non apprezzare il modo in cui le sue opere vengono percepite dalla critica. Il fatto che sia un autore di enorme successo non significa che le sue opere non abbiano valore letterario o che lui non studi accuratamente la lingua e si impegni per creare opere di spessore artistico. 

Misery, comunque, è un lungo flusso di coscienza sulla scrittura, nella sua veste salvifica e nella sua veste più “inquietante”, come maledizione dei giorni di uno scrittore, incapace – a dire di King – di ingannare se stesso, a fronte della capacità di mentire a tutti i lettori. 

La droga in Misery

Misery è anche una riflessione sugli effetti della dipendenza. Una dipendenza che nel libro è associata a un farmaco – il Novril – ma che è anche da intendersi come dipendenza dalla scrittura.

Uno scrittore ha bisogno della sua “dose” di pagine scritte. Non può fare a meno di scrivere e quando inizia a produrre, sarebbe in grado di rinunciare a tutto pur di trovare il tempo e la lucidità per scrivere. 

La forte attenzione puntata sugli effetti della droga (e il fatto che l’autore ricorra a piene mani agli espedienti delle allucinazioni e dei sogni per raccontare una realtà distorta e persino più spaventosa) mi ha fatto immaginare anche Anne Wilkes non come villain reale della storia, ma come demone interiore.

E sicuramente Anne Wilkes, in qualche modo, è una grande metafora.

E’ la metafora del lettore accanito disprezzato da Stephen King, che non sa distinguere un bel romanzo da un romanzo mediocre. 

E’ la metafora della dimensione pubblica di una celebrità, costretta a pressioni e a invadenze che le persone comuni non vivono.

Ma è anche un’esagerazione degli effetti della depressione e della solitudine. 

Anne è una serial killer

A dispetto di tutte le possibili letture che si possono dare al personaggio di Anne, non si può negare che King abbia voluto inserire un serial killer nella sua storia. Anne Wilkes non è, infatti, altro che un’assassina seriale. Aspetto che forse viene sottovalutato o non approfondito nel film, ma che nel libro viene esplorato.

King si è documentato sulla mente dei criminali affetti da manie psicotiche (in qualche modo, credo che Anne sia anche psicopatica per la capacità con cui mente a tutti per ottenere il proprio tornaconto) e l’abilità con cui si crea quest’assassina è, secondo me, il vero punto di forza di un romanzo che ti tiene costantemente col fiato sospeso. 

Tell, tell, tell

Credo che questo romanzo, inoltre, sia la più grande manifestazione del fatto che non esistono vere regole di scrittura per scrivere un grande romanzo.

Misery è un capolavoro, eppure si svolge quasi tutto nella testa del protagonista, Paul Sheldon. 

Flussi di coscienza, soliloqui, riflessioni, sogni e allucinazioni. Non c’è molta azione. King racconta tutto quello che succede, approfondendo la psiche del proprio protagonista e riesce in un obiettivo che credo sia inarrivabile per qualsiasi altro autore. Crea un libro divertente e ad altissimo ritmo, seppure non racconti molti avvenimenti e non si attenga alla regola dello “show don’t tell”. 

Lo consiglio?

E’ quasi superfluo rispondere alla domanda. Credo che Misery sia un vero e proprio capolavoro che tutti dovrebbero leggere (vi basterà cliccare qui per acquistarlo). 

Ritengo che sia uno dei miei libri preferiti fra quelli letti quest’anno.

Voi lo avete letto? Cosa ne pensate?

6 pensieri riguardo “Recensione di “Misery” di Stephen King: un capolavoro che esplora la “salvifica maledizione” della scrittura

  1. E’ stato uno dei primi che ho letto, ormai moltissimi anni fa, per cui sarebbe ora di ripassarlo.
    Sono d’accordo con tutto quello che dici: ha una tensione costante, dei personaggi solidissimi e il tutto senza mai allontanarsi troppo dal letto dove Paul è bloccato. Non so se è solo un problema mio, ma a un certo punto ho anche provato pietà per Annie, nonostante, giustamente, sia una serial killer e una squilibrata.
    Alla fine può essere visto come una sorta di psicodramma, una storia che King usa per mettere in scena i suoi tormenti del momento, dare loro una forma e cercare di esorcizzarli.

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