Buongiorno, amici lettori, e ben ritrovati sulla mia pagina.
Oggi inauguro una nuova rubrica, in collaborazione con @pages_glued.
Da oggi racconteremo storie letterarie e paraletterarie e aneddoti in grado di fornirci nuovi spunti e una visione più ampia del mondo che noi tutti amiamo, quello dei libri. Questo e molto altro sarà #bookframes!
La storia di oggi riguarda J. K. Rowling, ma non solo l’autrice di Harry Potter. Più che altro, la Rowling è l’esempio più chiaro per riflettere su quanto e come autore e opera siano collegati.
Mai come con la saga di Harry Potter il pubblico ha fatto proprio il principio per cui un’opera – in questo caso il mondo letterario e cinematografico dedicato a Harry Potter – viene apprezzata in maniera oggettiva. Il legame che si crea fra fruitore e prodotto, dunque, non viene inficiato dall’idea o dai pensieri che il fruitore sviluppa in merito all’autore del prodotto stesso.
Molti fan della saga di Harry Potter hanno affermato di non essere d’accordo con la Rowling e con i suoi commenti in merito alla transessualità e all’identità di genere, eppure… in pochi hanno preso le distanze dall’universo letterario da lei creato.
Più che affermare se questo possa essere definito un atteggiamento corretto o meno, preme sottolineare quanto esso sia in controtendenza rispetto a quello che sta accadendo negli ultimi tempi. In un periodo in cui è dilagante la “cancel culture” (fenomeno che, a ogni buon conto, chi scrive trova quanto meno discutibile), la saga di Harry Potter viene protetta dai sentimenti ambivalenti o del tutto negativi che i lettori provano in relazione alle affermazioni della Rowling.
Ma cosa è successo?
Cosa sta alla base di questa scissione necessaria fra Rowling e Harry Potter? Cosa ha portato l’autrice a essere esclusa dalla reunion dedicata ai vent’anni dall’uscita del primo film di Harry Potter?
A partire dall’anno scorso, l’autrice britannica si trova al centro di una vera e propria bufera, nata dal suo schierarsi a difesa di una donna licenziata per aver ribadito la necessità di differenziare le donne biologiche da quelle che non lo sono. Intervento che ha fatto scattare sulla Rowling il bollo di TERF (in buona sostanza, femminista radicale che esclude le trans dalla categoria delle donne).
A più riprese, malgrado il polverone suscitato, l’autrice ha sempre ribadito la sua posizione, affermando persino che le donne trans non sarebbero altro che gay spaventati dall’omofobia. E, negli ultimi tempi, la controversia si sarebbe accesa, a seguito dei commenti e dei repost fatti dalla Rowling in merito all’assurdità che un violentatore potesse essere catalogato come donna, confermando, dunque, la sua visione secondo cui sarebbe sempre necessario distinguere le donne biologiche e quelle che non lo sono. Discorso che si ripercuoterebbe, ovviamente, anche sul tanto chiacchierato argomento dei “pronomi” da utilizzare in base al genere in cui l’individuo si riconosce.
Ciò che più di ogni cosa ha stupito e amareggiato i fan di Harry Potter e della Rowling stessa, però, è il vedere la creatrice di un mondo letterario in cui si propugna l’abolizione delle differenze fra le persone così rigida e attiva in una battaglia volta a rimarcare le differenze fra categorie di individui.
Tornando all’argomento del nostro “bookframe”, però, possiamo provare a ipotizzare la ragione per cui si lotta per scindere autore e opera, nel caso di Harry Potter. Fondamentalmente, infatti, possiamo dire che pochi mondi letterari hanno segnato una generazione (in questo caso, i Millennials) come quello inventato dalla Rowling.
In tanti siamo rimasti così tanto segnati e coinvolti dalle storie di Harry Potter da finire per considerarle un po’ “nostre”. I libri si sono trasformati in un universo fatto di tanti altri media e soprattutto di immaginazione personale capaci di farli “distanziare” dall’autrice in modo quasi inevitabile.
E allora ci si spiega perché siamo riusciti a salvare le opere della Rowling, a dispetto dell’opinione che stiamo imparando a sviluppare su di lei.
Lo stesso trattamento, però, non è stato certo riservato alle opere di tanti altri autori e nemmeno si può dire che altri artisti siano usciti indenni dal “revisionismo storico” causato dagli scandali che li hanno coinvolti. Woody Allen, Bill Cosby e Kevin Spacey per fare nomi di attori su cui si è abbattuta la scure della Cancel Culture.
E nel mondo letterario? In quali altri casi si dovrebbe parlare di scissione fra autore e opera?
Affrontare il caso Rowling ci riporta alle basi del rapporto autore-lettore.
Porre altri esempi mi sembra possa aiutare a effettuare un’analisi quanto più ampia possibile, che di fatto non vede una presa di posizione netta e indiscutibile, perché risponde alle convinzioni ed emotività del singolo.
Prendiamo come esempio Lovecraft, tra i maggiori scrittori della letteratura horror, ma anche una persona convintamente razzista. Di certo non è possibile confinare il razzismo di Lovecraft a mero sottoprodotto del suo tempo. «Un odio assoluto per il mondo in generale, aggravato da un disgusto particolare per il mondo moderno», così commenta Houellebecq in una delle biografie dedicate allo scrittore americano. Paradossalmente, fu proprio il bigottismo a indurre Lovecraft ad avere dei momenti di trance nel creare un mondo alterato. Altresì troviamo William S. Burroughs, pittore, scrittore e saggista tossicodipendente che in un incidente domestico (mai chiarito) uccise la propria moglie. Ma è proprio grazie a quell’episodio, che l’ossessionò per tutta la vita, che egli iniziò a scrivere. Ho voluto fare degli esempi estremi per arrivare a capire fino a che punto siamo disposti a sorvolare le vicende personali dei singoli scrittori o scrittici pur di lasciarci trasportare in opere di indiscusso valore.
Sicuramente una damnatio memoriae sulla letteratura di chi ormai non c’è più può apparire fuori tempo massimo, ma, tornando al discorso della Rowling, una decisione di non comprare più le sue opere diviene di fatto una precisa presa di posizione del singolo lettore. Indubbiamente rimane una posizione lasciata alla sensibilità di ciascuno.
Per quanto concerne il rapporto lettore-autore, si può fare riferimento a Raimondi che, nell’opera “Un’etica del lettore”, sostiene che la lettura è un «atto apparentemente semplice, [un] gesto quotidiano, eppure leggere è un rapporto complesso fra due persone, l’autore e il lettore, che si consuma attraverso un testo. Chi legge fa vivere un testo, lo realizza, mettendosi così in comunicazione con l’altro, con una diversità. Nel leggere è implicita la disponibilità ad ascoltare, a entrare in relazione, a non prevaricare l’altro con la propria individualità».
Questo complica ancora di più il nostro discorso. Se un testo diventa del lettore, di ogni singolo lettore, la scelta di comprare un’opera ricade su sole scelte personali o si deve tenere conto sempre della vita dello scrittore?
In quali altri casi si dovrebbe parlare di scissione fra autore e opera? La domanda con la quale ci siamo confrontati sembra irrimediabilmente destinata a rimanere aperta e senza soluzione.
Giovanni Di Rosa
Luca Amato