Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer è una delle serie che ha avuto più risonanza sin dai tempi del debutto di Netflix. È una serie di Ryan Murphy basata sulle vicende della vita di uno dei più tremendi e sadici serial killer che abbiano mai calcato il suolo statunitense, di colui che venne definito il mostro di Milwaukee.
La serie, a mio modo di vedere, non è un prodotto straordinario. Penso persino che Murphy con American Crime Story ma anche con Feud abbia fatto un lavoro migliore di quello che è riuscito a fare con Dahmer. Quello che mi è “pesato” dello show è lo scarso impatto emotivo procurato dalla parte finale della serie, quella relativa al processo, alle dichiarazioni delle vittime e la morte del serial killer. In generale, penso che dovesse incarnarsi meglio e di più la violenza verbale e l’emozione suscitata dal caso. Non è stato un brutto lavoro, ma a me sembra che si sia deciso volontariamente di creare un prodotto che non sconvolgesse troppo il pubblico (e lo dimostra anche la scarsità di violenza rappresentata a video), evitando di conseguenza anche di calcare la mano sulle conseguenze di tutti gli omicidi e sulla disperazione causata dalle atrocità commesse da Dahmer.
MA COSA MI HA DAVVERO COLPITO DI DAHMER?
Della serie di Murphy su Dahmer mi ha profondamente toccato il modo in cui si racconta la solitudine del killer. È un racconto duro e doloroso che riguarda il rapporto genitori-figli. Un racconto in cui in molti si possono ritrovare.
Qualsiasi sociologo potrebbe riconoscere che è inevitabile una frattura fra genitori e figli, che due generazioni non possono davvero mai comprendersi fino in fondo. Ma qui si va al di là del divario generazionale: qui si assiste alle manifestazioni di disagio (e, a volte, a un grido d’aiuto) di un giovane che fa capire di soffrire e di avere tendenze pericolose.
Però rimane inascoltato. Sia il padre che la nonna preferiscono non scendere a compromessi, sedersi a tavolino con lui e chiedergli come risolvere la situazione. No, urlano, sbraitano, gli proibiscono di fare cose da omosessuale, lo attaccano a causa delle dipendenze ed evitano di approfondire la discussione sui desideri e le tendenze sbagliate di Jeff.
È una narrazione che fa male perché dimostra come, tante volte, piuttosto che aiutare qualcuno i genitori (gli adulti, in generale) preferiscano fare finta di niente o sgridare. Come se un rimprovero o una punizione possano cambiare la psiche di qualcuno in meglio. Tutto, purtroppo, parte sempre dal dialogo e dalla comprensione. Penso che questo messaggio sia quello che la serie abbia lanciato in modo più duro e significativo.