“Desidera, ignorandolo, sé stesso, amante e oggetto amato, mentre brama, si brama, e insieme accende ed arde.”
Con queste parole Ovidio descrive l’amore di Narciso per sé stesso, a cui lo stesso era stato destinato per una vendetta divina.
Narciso, infatti, aveva rifiutato tutti i pretendenti, ritenendosi più bello di chiunque altro, portando persino uno dei suoi spasimanti al suicidio. La vendetta delle divinità fu sibillina, dal momento che decisero di destinare Narciso a innamorarsi soltanto di chi lui ritenesse al pari suo, quanto a splendore.
E Narciso si innamorò del suo riflesso (per volere della dea Nemesi), costringendosi a una vita (a dir la verità, assai breve) di insoddisfazione per l’incapacità di raggiungere e di congiungersi all’oggetto del suo desiderio.
“Attonito fissa sé stesso e senza riuscire a staccarne gli occhi rimane impietrito come una statua scolpita in marmo di Paro.”
Cosa ci spiega il mito di Narciso?
Il mito di Narciso ci spiega come amare in modo morboso sé stessi e, in ossequio a questa idea di superiorità, rifuggere l’amore e le relazioni con gli altri non sia altro che un gioco senza rischi. Il narcisista non si mette in gioco, non permette agli altri né di regalargli la felicità né di farlo soffrire. È una vita in cui si accetta solo la propria immagine e tutto ciò che serve per accrescere (vanamente) la propria stima di sé.
In psicologia, il narcisista ha un ego ferito. C’è una fragilità alla base di ogni narcisismo. Una persona che ha una buona autostima, sarà sempre disposta a mettersi in gioco, a rischiare e ad aprirsi agli altri. Il narcisista, invece, cercherà solo quello che può – a parer suo – irrobustire l’ego, evitando tutto ciò che potrebbe riaprire le ferite e creare sofferenze.
Anche il Narciso del mito, alla fine, decide di togliersi la vita, messo di fronte alla realtà. Comprende che amore unicamente la propria immagine è un amore ridicolo, un amore che lo consuma fino alla morte.