“Il novel si fa forma a-formale, corpo plebeo, senza onore da difendere né categorie da rispettare. Precisamente nell’assenza di forma, nel suo essere corpo che non fissa i propri limiti, e confini – malleabile, pronto a tutto – sta la sua bastarda capacità di egemonia.”
Pochi libri hanno rappresentato una sfida come “La passione dell’origine – Studi sul tragico shakespeariano e il romanzesco moderno” di Nadia Fusini.
Si tratta di un saggio di critica letteraria che ripercorre l’evoluzione della letteratura, che, nel tempo ha abbandonato gli schemi del tragico per abbracciare l’indefinito e molteplice tipico del romanzesco. La linearità tipica dei dilemmi tragici, brucianti conflitti destinati a una rapida risoluzione, si sono scontrati con l’incedere di una modernità in cui preservare la vita è diventata un’istanza forte, da non sottovalutare, in grado di annientare l’istinto tragico alla (auto)distruzione).
La Fusini pone al centro delle sue premesse Amleto e, in generale, l’opera shakespeariana che, più o meno volontariamente, è stata trait d’union fra il tragico e il romanzesco.
Amleto è una figura di svolta perché è l’ultimo eroe a soccombere al dilemma del tragico.
Dopo di lui, prolifereranno nuovi Amleti, Amleti della modernità, consapevoli dei dilemmi e della vergogna, ma troppo poco eroici per decidere di rinunciare alla vita.
In qualche modo, il romanzesco è il riscatto del servo, di chi non segue le logiche della nobiltà tragica, di chi lotta per sopravvivere, di chi non vive in un fulminante presente ma che è inserito in un eterno ritornare costituito dai suoi pensieri e dalla sua ansia di sfuggire all’inevitabile fine.
“Il personaggio romanzesco entra prepotentemente in scena con un incedere prosaico e realistico, inabissando nella ragionevolezza della sua condotta l’enfasi tragica, o la fantasia romantica del lamento luttuoso, o delle irreali trame, che lo hanno preceduto.”
È stata una sfida perché molte delle citazioni della Fusini sfuggono dal mio bagaglio culturale. E, in definitiva, non potrei dire altro, se non che si tratta di un testo decisamente più adatto a chi ha fatto studi letterari che a un lettore casuale.
Ciononostante, non posso dire di non avere apprezzato questo saggio che ci fa esplorare la nascita della “mongrel form” con cui viene definito il romanzo moderno. Un testo che è una ibridazione di più forme, per lo stesso fatto di non avere una struttura formale (è a-formale).
“Il cambiamento della scena dell’azione dall’esterno della tragedia (..) all’interno del romanzo è spostamento radicale, che muta il modo stesso del racconto, e di ciò che si racconta.”
Uno degli aspetti che mi hanno colpito di più è stato l’approfondimento sul contesto. Il setting definisce l’atmosfera della storia e caratterizza il personaggio. I campi di battaglia e le piazze sono emblematici del tragico, le stanze e gli interni invece aprono lo sguardo sui personaggi del romanzo.
Un libro che mi ha portato a riflettere su quanto umano sia il personaggio romanzesco, che non si propone di essere eroe ma che è dipinto in tutte le sfaccettature e in tutte le fragilità, immerso fino al collo nel magma dei suoi pensieri e delle sue nevrosi.
Un libro che agli amanti di critica letteraria consiglio caldamente!