Buongiorno amici!
Oggi vorrei parlarvi di un documentario Netflix del 2016 che ho visto in questi giorni. Sto parlando di “Whitney Houston – Can I be me”, documentario che approfondisce la storia della celebre cantante.
Nel documentario si parla del suo debutto, della sua ascesa, ma anche e soprattutto della sua vita privata e della morte.
Proviamo a riassumere quelli che sono gli argomenti salienti trattati in questo documentario:
La sua relazione con Robyn
Devo ammetterlo, non ero a conoscenza di tutte le speculazioni sulla sessualità di Whitney Houston. Non mi aspettavo che uno dei problemi più significativi della sua vita fosse il rapporto con l’amica di una vita, Robyn Crawford.
Prima che arrivasse Bobby Brown nella vita di Whitney, i media erano convinti che lei e Robyn (che aveva iniziato a lavorare per lei) avessero una relazione.
Chi conosceva Whitney, sostiene che la Houston fosse bisessuale e che sì, avesse un rapporto con Robyn, anche se non se ne è mai parlato apertamente.
Il vero dramma della vita di Whitney, però, era che la famiglia e anche tutti gli addetti del settore erano contrari a una relazione omosessuale. Nonostante la famiglia vivesse una situazione difficile, essendo i parenti della cantante alle prese con problemi di dipendenza, pareva che l’unico “problema” che volessero risolvere fosse la sessualità della figlia.
Dal documentario esce fuori che tutti i parenti di Whitney (così come successivamente il marito) non si preoccuparono mai di aiutare Whitney ma cercassero, invece, un capro espiatorio per giustificare la disfunzionalità del rapporto con lei.
Bobby Brown
Whitney iniziò una relazione con Bobby Brown, in occasione del Soul Train Award del 1989. Nonostante il passato chiacchierato con Robyn, Robyn rimase accanto Whitney anche durante i primi anni del matrimonio fra Bobby e Whitney.
Soltanto nel 1998 Robyn abbandonò la crew di Whitney.
Tuttavia, il rapporto fra Whitney e Bobby fu molto complicato. La popstar affermò di essere dipendente dal marito – con cui condivideva la droga e l’alcol -, ma Bobby non fu mai l’uomo perfetto per lei.
Di lui si dice che facesse di tutto per abbattere la sua autostima e portarla al suo livello, mettendola in crisi (la Houston era nota per avere una scarsa autostima e per essere molto sensibile alle critiche).
Brown si mise di traverso anche quando Whitney provò a disintossicarsi, dal momento che, da lucida, la Houston ostacolava gli investimenti di Bobby. Inoltre, essendo il calendario di Whitney incredibilmente fitto, Bobby – infedele sin dai primi anni di matrimonio – iniziò una relazione con un’altra donna che portò a un’inevitabile divorzio (evitato dalla cantante che considerava il divorzio contrario ai dettami di Dio).
La dipendenza e la morte
Whitney non aveva un rapporto sano con nessuna delle persone che le stava attorno. Nessuno voleva realmente che si riprendesse, per un motivo o per un altro. Lei era fonte di reddito per tutti e, se a ciò si aggiungevano le pressioni di una vita al centro del palco, la vita della Houston fu molto complessa.
Peraltro, la Houston veniva da una famiglia e da un quartiere in cui era normale assumere droga a scopo ricreativo. Questo utilizzo divenne una vera e propria malattia nel corso degli anni Novanta.
Mi ha colpito profondamente sapere, però, che, poco dopo la morte di Whitney (avvenuta per overdose), morì anche la figlia, Bobby Kristina.
Vale la pena guardare questo documentario?
La Houston è stata una cantante iconica e io, come molte altre persone, la amo. Però ritengo che questo documentario possa essere visto da chiunque. Si tratta, infatti, di una storia ben realizzata e molto emozionante.
Un pensiero riguardo “Can I be me – Recensione del documentario Netflix sulla vita e la morte di Whitney Houston”