“I morti” di Joyce: l’amore in “Gente di Dublino”

Buongiorno, amici lettori.

Oggi voglio tornare a parlare di “Gente di Dublino” di Joyce. Attenzione, però, la recensione è ancora rimandata, dato che voglio scriverla solo dopo l’incontro con il gruppo di lettura con cui ho affrontato l’opera. 

Oggi voglio, invece, parlare dell’amore in “Gente di Dublino“, analizzando un solo racconto della raccolta, ossia “I morti“, l’ultimo del libro. 

Una sorpresa

Trovarmi a fare un’analisi di un aspetto particolare di questo libro mi sembra quanto mai imprevisto, dato che “Gente di Dublino” è un libro che non mi ha conquistato. Anzi, posso dire con serenità di non averlo capito. 

Eppure, proprio nelle ultime pagine è scattata una scintilla. Gli ultimi sussulti del racconto “I morti”, infatti, secondo me sono il miglior esempio di scrittura di quello che è stato il “primo” Joyce. 

Amore ideale contro realtà

Nello specifico, il racconto che Gretta fa al marito rappresenta una lucida (forse anche cinica) visione dell’amore. Una riflessione che mi ha colpito moltissimo.

Gretta narra al marito di un amore giovanile, di questo fantomatico Michael Furey che, pur malato, aveva scelto di raggiungerla a casa della nonna per salutarla prima della partenza. In una notte piovosa e fredda che ha segnato, poi, il peggiorare della sua malattia e, dunque, la sua fine.

Insomma, un amore giovanile, passionale ed estremo che non conosce limiti e che, come vediamo nel racconto, rimane perennemente nella mente di Gretta. Michael Furey è la magia, il sogno di un amore privo di difetti. 

D’altra parte, così come comprende lucidamente il marito di Gretta, Gabriel, l’amore coniugale è tutta un’altra cosa. Ci sono i figli, ci sono il lavoro, le spese, le fatiche, gli impegni e la stanchezza. L’amore che si scontra con la realtà. Un ideale (perché nella fantasia di ognuno l’amore tale è) che viene a confliggere con il reale.

Amore e morte

Joyce sembra quasi dire ai lettori – attraverso le lucide riflessioni di Gabriel – che sarebbe meglio morire (o, più in senso lato, chiudere una storia d’amore) quando ancora è passione gioiosa. 

La morte dell’amore, in qualche modo, eleva il sentimento, lo rende ideale, lo rende superiore alle vili cose umane, alle bassezze del quotidiano (che poi sono il leit motiv di “Gente di Dublino”). 

Questo connubio amore-morte per me esemplifica, alla perfezione, una visione fredda, lucida e materialistica dell’autore. La realtà si costituisce di limiti, di ristrettezze, di timori e di stanchezze. L’ideale, l’alto, il puro è qualcosa che non ha a che fare con l’umanità – se non per pochi momenti sparsi in una vita – e che diviene meta irraggiungibile.

Si potrebbe anche dire che questa impossibilità di raggiungere l’alto e l’ideale sia il presupposto di un dissidio interno all’essere umano che non potrebbe essere rappresentato da nessuna dualità più efficace del connubio amore-morte. 

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3 pensieri riguardo ““I morti” di Joyce: l’amore in “Gente di Dublino”

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